I resti più antichi della presenza umana in Sardegna erano custoditi nel Sulcis a Su Carroppu, in un riparo sotto roccia a 350 metri di altezza vicino a Sirri, frazione di Carbonia. Appartengono a due individui che qui vissero e qui furono sepolti tra il nono e l’ottavo millennio avanti Cristo: la Sardegna allora era una terra poco abitata, dove gruppi di uomini vivevano di caccia e raccolta spostandosi di continuo, armati di pietre lavorate e levigate.
Oggi quelle stesse ossa restituiscono nuove, preziose informazioni: grazie a un progetto di studio dell’Università di Cagliari e alle più avanzate tecnologie di ricerca è stato possibile analizzare e interpretare i dati archeogenetici dei reperti. In altre parole, abbiamo il dna dei più antichi sardi finora conosciuti sul territorio isolano: sappiamo chi erano, e soprattutto in che rapporto erano con le popolazioni che in seguito abitarono la Sardegna. In base ai dati pubblicati oggi in anteprima sulla rivista internazionale ‘Scientific Reports’ del gruppo “Nature” i sardi neolitici, che popolarono massicciamente la regione dal VII millennio avanti Cristo e diedero impulso all’agricoltura e alla pastorizia, appartenevano a gruppi genetici diversi rispetto ai sardi del Mesolitico: una discontinuità dovuta certamente all’arrivo di popolazioni migranti nel Neolitico, che scelsero la Sardegna come terra d’approdo, portando con sé tecniche, usi e culture e, naturalmente, un diverso bagaglio genetico.
Il sito. Su Carroppu, un’area che si estende su uno sperone di calcare vicino a Sirri, è un grande riparo coperto dalla roccia per un’estensione di circa 50 metri: un posto naturalmente protetto, ricco di acqua e immerso nella vegetazione, abitato sin dall’antichità proprio per la sua posizione felice. L’area è stata poi sfruttata attraverso i secoli e fino all’età nuragica.
La storia degli studi. Dagli anni Sessanta del secolo scorso gli archeologi hanno scoperto la grande importanza del sito: è qui che Enrico Atzeni, studioso cagliaritano esperto in preistoria della Sardegna, ha analizzato le tracce di insediamento e le sue sepolture con le prime tracce del Neolitico Antico sardo, la facies culturale chiamata ‘cardiale’ dal tipo di decorazione impressa sulle ceramiche con la conchiglia ‘cardium’. Ma su Carroppu era, in realtà, abitato da molto prima: le ultime indagini, avviate dal 2009 e ancora in corso, ci dicono che qui l’uomo c’era sin dal Mesolitico, undicimila anni fa circa. Ne sono la prova, appunto, i resti scheletrici datati con il radiocarbonio e oggi analizzati anche geneticamente.
Il progetto di studio a Su Carroppu, finanziato dal Parco Geominerario e dalla Regione Sardegna, è diretto da Carlo Lugliè, docente di Preistoria e protostoria del Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Ateneo di Cagliari. Le analisi sul dna sono state eseguite sotto il coordinamento di David Caramelli dell’Università di Firenze e di Silvia Ghirotto, del gruppo di ricerca di Guido Barbujani dell’Università di Ferrara, grazie all’applicazione delle più avanzate tecnologie per la caratterizzazione del Dna mitocondriale.
I resti scheletrici. Le ossa sono state trovate nel riparo sotto roccia ma purtroppo, a causa della lunga frequentazione del sito, non nella posizione originaria in cui erano state sepolte. Per fortuna i resti vennero inglobati in concrezioni calcaree dovute allo stillicidio dell’acqua e si conservarono in condizioni tali da permettere una analisi tanto delicata come quella archeogenetica.
“Esistono altri luoghi in Sardegna che hanno restituito tracce della presenza umana nel Mesolitico, come la Grotta Corbeddu di Oliena – sottolinea Carlo Lugliè – ma è la prima volta che siamo in grado di datare le ossa umane direttamente e con un metodo scientifico. Grazie agli studi ancora in corso conosciamo molti aspetti del sito: abbiamo ritrovato tracce di fuoco, usato per riscaldare l’area e per cucinare i cibi, e sappiamo che Su Carroppu era usato sia con funzioni abitative che funerarie. Le nuove analisi danno la testimonianza di gruppi antichissimi il cui bagaglio genetico era molto lontano da quello dei neolitici. La ricerca a Su Carroppu continua”.
Francesca Mulas