I partiti si assumano la responsabilità delle scelte. E basta col mito delle Primarie

La crisi, come alcuni hanno ricordato più volte, è anche un’occasione di cambiamento. In certi casi indica però una vera e propria necessità e urgenza di cambiamento. Oggi, quasi a metà del 2013 e dopo cinque anni di crisi profonda, non siamo più nella sfera dell’opportunità ma in quella della necessità e dell’urgenza.

La crisi, arrivata in Italia e in Sardegna nell’estate del 2008, ha travolto l’economia e la società, ma anche i partiti e le istituzioni politiche. Si potrebbe perfino affermare che alla crisi dei partiti e delle istituzioni politiche va addebitata una parte del danno che la crisi ha prodotto sull’economia e sulla società, perché alla politica sono mancate le capacità di reagire tempestivamente alla crisi e individuare vie di uscita. Raramente, purtroppo, la classe politica riesce ad anticipare i problemi, il più delle volte ne viene travolta, e questa volta è stata travolta la società intera.

La necessità e l’urgenza del cambiamento riguardano (non da oggi e non solo per effetto della crisi) il nostro modello economico ma anche il funzionamento della politica. Non basta però enunciare un cambiamento, bisogna provare ad avviarlo. Per cambiare c’è solo un modo: fare diversamente. Potrebbe non essere sufficiente ma è un passo necessario, perché è improbabile che qualcosa cambi se si continua a farla nello stesso modo.

Sulla crisi economica e sui fallimenti del nostro modello produttivo non mi soffermo in questo breve spazio, ma occorre che siano al centro della elaborazione politica, perché un cambiamento importante deve partire proprio da lì, da ciò che vogliamo e sappiamo produrre e da come vogliamo organizzare la produzione e le condizioni di vita, in quale prospettiva e con quali esiti sociali. Qui propongo una breve riflessione sulla necessità e l’urgenza di cambiare il “comportamento” politico.

Da ciò che si legge e si ascolta in queste settimane e negli ultimi giorni, sembrerebbe che l’uragano che ha travolto l’economia e la politica sia passato invano. Ci si appresta infatti ad affrontare le prossime elezioni regionali nello stesso identico modo con cui sono state affrontate finora: tutto inizia dalla scelta del candidato/a alla presidenza, che deve avere credito e consenso (cioè voti) a prescindere, come direbbe Totò, a prescindere da un progetto politico per la Sardegna (che infatti ancora non esiste).

Il primo cambiamento dovrebbe consistere nel non prescindere più dal progetto politico: è dal progetto che si dovrebbe partire (non dalle candidature), costruendolo in modo partecipato e condiviso. Lo ha scritto molto bene Massimo Dadea qui su Sardinia Post. Il progetto politico da proporre agli elettori non dovrebbe essere definito dal candidato/a alla presidenza ma dovrebbe essere l’espressione delle idee di un partito, della sua visione del mondo, o – meglio – di una aggregazione di partiti e movimenti che facciano riferimento ad un’area politica condivisa (mi riferisco in particolare al centrosinistra, che è l’area che più mi interessa).

E’ la condivisione delle idee e di un progetto comune che tiene insieme le persone, non il contrario: non può una persona – per quanto stimata e capace – tenere insieme idee e progetti diversi (spesso fatalmente divergenti se non addirittura contrapposti).

Si parla di nuovo di primarie – si vedrà se saranno primarie di coalizione o solo del Pd – e il programma di governo verrà dopo. Magari prenderà la forma di un patto di coalizione, che assomiglia più a un collante universale (di solito poco efficace) che a un progetto politico per la Sardegna, serio e condiviso. La politica è uno degli ambiti in cui si radicano più facilmente le semplificazioni, forse perché aiutano la comunicazione e sembrano renderla più efficace. Ma la qualità del pensiero politico comincia a risentire delle troppe semplificazioni. Una di queste è che senza le primarie non c’è democrazia e partecipazione.

La democrazia, intesa come libertà e partecipazione di tutti a una vita politica comune (Zagrebelsky), esiste anche senza le primarie.
La partecipazione degli elettori all’elaborazione di un progetto politico può essere promossa e organizzata in altri modi e con finalità più ampie rispetto alle primarie: per esempio attraverso assemblee territoriali e forme di consultazione (ne esistono di ogni tipo) che riguardino le proposte politiche per un progetto comune e non solo l’indicazione di un candidato/a.

Le primarie sono uno strumento assai più debole di quanto si voglia fare credere, perché serve per organizzare la partecipazione alla scelta di un nome e non alla definizione di un progetto collettivo. Ma un progetto collettivo non può essere legato ad un nome, perché appartiene ad un soggetto politico collettivo, cioè un partito.
A ciò si aggiunga che il centrosinistra – in particolare il Pd che ha introdotto le primarie – non si è dimostrato capace di utilizzare questo strumento: non riesce a rispettarne gli esiti, non sa riassorbire i conflitti prodotti dalla competizione interna tra i candidati (in genere già contrapposti prima delle primarie e poco collaborativi, per usare un eufemismo, anche dopo), non ne valorizza il significato ma lo mortifica. La necessità di un cambiamento suggerirebbe di fare a meno delle primarie per le prossime imminenti elezioni, in attesa che si chiarisca la reale vocazione e capacità dei partiti alla condivisione delle scelte con gli elettori.

Per un cambiamento, del resto, è necessario che i partiti recuperino il loro ruolo fondamentale e l’autorevolezza perduta assumendosi la responsabilità piena e diretta di costruire un progetto politico per questa regione, attorno al quale raccogliere il consenso più ampio, individuando al contempo un gruppo di persone serie e competenti che sappia realizzarlo concretamente, guidate da una persona con un profilo idoneo a svolgere il ruolo di Presidente. Ecco, alla fine, la scelta del/della Presidente.

L’estrema gravità del momento dovrebbe rendere chiaro che non esiste una persona capace da sola di tirare fuori la Sardegna da questo disastro. L’enfasi sulla scelta del candidato/a alla Presidenza suggerisce invece che possa esistere una persona con doti straordinarie, fuori dal comune, in grado di salvarci; ma è una immagine che semplifica e mortifica – ancora una volta – la responsabilità collettiva di un buon progetto di governo. Solo un insieme di persone, che mettano a disposizione le loro competenze e rispondano all’interesse comune, può creare le condizioni per cambiare (non solo salvare) il destino della Sardegna.

Sarebbe un vero cambiamento: cominciare dalle idee e dalle persone in grado di realizzarle, sotto la guida di una figura che restituisca dignità e autorevolezza alle istituzioni e fiducia ai cittadini.

Lilli Pruna

 

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