Oggi, che in Sardegna sembra delinearsi una nuova stagione politica, non sarebbe male, preliminarmente, affrontare alcune questioni che hanno pesantemente condizionato il modello di sviluppo che è andato affermandosi nel secolo scorso.
Sulle ali del binomio Autonomia/Piano di Rinascita si sono compiute scelte le cui conseguenze si riverberano ancora oggi: un processo di sviluppo incentrato sulla industrializzazione per poli e sul consumo del territorio che ha finito per devastare ed inquinare l’habitat; che ha depauperato le risorse e il tessuto economico endogeno; che ha impedito la nascita di un ceto imprenditoriale locale. Tutto questo a vantaggio dei grandi gruppi monopolistici legati allo sfruttamento del petrolio, di imprenditori senza scrupoli che, più che ad uno sviluppo turistico integrato e compatibile, erano, e sono, interessati alla cementificazione delle coste e alla rapina del territorio.
Per oltre cinquant’anni la politica ha evitato di esprimere un giudizio compiuto su quel delicato e complesso periodo storico. L’hanno fatto, parzialmente, gli storici, gli economisti, ma quello che è mancato, e tutt’ora manca, è un un bilancio definitivo da parte della politica e delle istituzioni autonomistiche.
Oggi la Sardegna è la regione d’Italia più inquinata. Un terzo della popolazione sarda è esposta all’impatto di materiali inquinanti con conseguenze disastrose per la salute dei cittadini. Nel 1951 l’agricoltura in Sardegna assorbiva il 51% degli occupati, l’industria – quella estrattiva del Sulcis e del sughero in Gallura – il 21%. Nel 2012 gli addetti in agricoltura rappresentavano il 12%, quelli nell’industria il 22%: un magro risultato. Nel 1951 la Sardegna era la regione meridionale più industrializzata.
Eppure la scelta dell’industria petrolchimica non era scontata e soprattutto non era l’unica possibile. Ed allora è legittimo chiedersi: le scelte compiute in nome del binomio Autonomia/Piano di Rinascita hanno rappresentato per la Sardegna una scommessa vinta oppure persa?
L’altra parola magica è stata Autonomia Speciale. Nel corso dei decenni ha finito per prevalere una concezione economicistica dell’Autonomia. Un’idea che trovava legittimazione nell’articolo 13 dello Statuto: “Lo Stato con il concorso della regione dispone un disegno organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola”. Un imperativo categorico che è stato utilizzato come base concettuale per uno sviluppo incentrato sulla industria petrolchimica e sulla chimica di base. Uno sviluppo ideato da altri e funzionale agli interessi dei grandi gruppi monopolistici e di una classe politica dirigente sarda subalterna. Un disegno che lungi dall’esaltare la nostra Autonomia e quindi la nostra progettualità, ha finito per determinare un’ulteriore dipendenza economica, culturale e politica.
Oggi l’Autonomia è morta: è diventata uno strumento inservibile ed inadeguato rispetto ai bisogni di autogoverno e di autodeterminazione che provengono dalla società sarda. L’Autonomia è finita perché è stato disatteso il Patto costituzionale che legava la Sardegna allo Stato. Quel Patto è stato disconosciuto per primo da uno dei contraenti – lo Stato italiano – che ripetutamente lo ha reso carta straccia.
Oggi la Sardegna non è più una regione speciale ed è meno di una regione ordinaria. La ventilata riforma del Titolo V° della Costituzione, preannunciata dal governo Renzi, si limiterà a certificare la fine dell’Autonomia speciale.
Sarebbe ingiusto però attribuire la responsabilità del fallimento al solo Stato “patrigno”, le colpe maggiori sono da ricercarsi nell’incapacità e nell’inconcludenza della classe politica dirigente sarda, che non è stata capace di utilizzare appieno tutte le potenzialità dello Statuto.
Queste sono le sfide che si pongono all’attenzione del nuovo governo regionale: costruire, con le forze vive della società sarda, un nuovo modello di sviluppo che tenga conto degli errori del passato, ed elaborare un nuovo ed originale percorso istituzionale all’altezza della domanda di autogoverno e di autodeterminazione del popolo sardo.
Massimo Dadea