La ricandidatura di Luciano Uras al Senato, per le Politiche del 2018, viene considerata un punto fermo negli ambienti politici regionali. Ieri Sardinia Post ha indicato il parlamentare uscente come lo sfidante più probabile dell’azzurro Emilio Floris nel collegio uninominale di Cagliari (comprensivo dell’intera ex provincia più Sulcis e Medio Campidano). Oggi quello schema trova conferma nell’alleanza certa che il Partito democratico stringerà per il voto di marzo con il Campo progressista di Giuliano Pisapia, dove Uras è approdato dopo lo scioglimento di Sel. Certo, manca ancora l’ufficialità, visto che le decisioni definitive sulle liste verranno prese solo dopo il 5 dicembre, quando il Governo avrà firmato il decreto con cui saranno definitive le circoscrizioni elettorali. Ma al netto degli aspetti tecnici, Uras ha già incassato un via libera di massima (foto di copertina di Dietrich Steinmetz)
La nuova corsa di Uras per Palazzo Madama passa per il Comune di Cagliari: la candidatura del senatore uscente non fa che rinsaldare l’accordo politico che dal 2011 permette al Pd di governare il Municipio del capoluogo attraverso Massimo Zedda. Per i dem declinare l’invito di Uras a riavere un posto in Parlamento equivarrebbe a mettere a rischio l’armonia in Comune, dal momento che il parlamentare è uno dei più fedeli consiglieri del primo cittadino.
E proprio a proposito di Zedda, il suo nome era ugualmente filtrato nei giorni scorsi da ambienti Pd come papabile per la Camera, sempre nel collegio uninominale di Cagliari. Ma la città dovrebbe tornare alle urne dopo appena un anno e mezzo, ciò che rischierebbe di convertirsi in boomerang anche per lo stesso primo cittadino. E Zedda non ha alcuna intenzione di mettere a rischio il suo appeal politico per il trasloco a Montecitorio. L’elettorato bollerebbe il sindaco come un politico della ‘casta’, etichetta che Zedda non ha mai avuto e anzi parte della sua fortuna politica poggia proprio sulla percezione opposta (decisive, in questo senso, furono le sue dimissioni dal Consiglio regionale a giugno 2011, appena prima di maturare il diritto al vitalizio).
Sempre all’interno dell’alleanza tra Campo progressista e Pd, resta aperta il caso di Roberto Capelli, il leader sardo del Centro democratico (Cd) e che rappresenta un pezzo isolano del movimento di Pisapia. Al momento i dem non sembrano disposti a dare un seggio al Cd perché alle Regionali del 2014 aveva preso poco più del due per cento e alle Comunali del 2016 superò appena l’uno per cento. Capelli, però, ha un canale di contatto privilegiato con Pisapia per il tramite del suo ‘capo’ nazionale, Bruno Tabacci. E poi, nell’autunno del 2013, Capelli, da nuovo alleato, aveva dato al Pd una mano per risolvere l’imbarazzante questione del ritiro della candidatura a governatore da parte di Francesca Barracciu, appena indagata nell’inchiesta sui fondi ai gruppi. Una manovra di accerchiamento che produsse gli effetti sperati. E in politica, si sa, c’è sempre un momento in cui si chiede la restituzione dei favori.
Quanto ai collegi plurinominali previsti dal Rosatellum bis – in Sardegna saranno undici per la Camera e cinque per il Senato – , è altissimo il rischio di insuccesso dei piccoli partiti come il Campo progressista. Perché dovranno presentarsi alle urne con proprie liste e superare la soglia di sbarramento fissata al tre per cento, anche se faranno parte di un ampio schieramento. Ciò significa che essere un capolista non assicura in automatico l’elezione. Nei collegi uninominali, invece, le forze minori hanno tutto l’interesse a piazzare propri rappresentanti perché sul candidato prescelto, come nel caso di Uras, convergeranno i voti dell’intera coalizione. Per contro i partiti più grandi come il Pd hanno lo svantaggio di trasformarsi in portatori di voti su seggi che finiranno poi sotto il controllo di altre forze politiche. E si tratta di un ragionamento che vale identico per le alleanze nel centrodestra.
Alessandra Carta
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