Trivelle, respinti i ricorsi delle regioni. Attesa per la decisione della giunta

Dopo il flop dei ricorsi con cui sei regioni (Sardegna compresa) tentavano di riabilitare due dei cinque quesiti referendari bocciati a gennaio, che farà la giunta Pigliaru? Si appellerà alla Corte Costituzionale contro le norme sulle trivellazioni inserite nella Legge di Stabilità? Se lo chiedono un po’ tutti. Ma, in giunta, le bocche sono cucite: impossibile ottenere dichiarazioni dall’assessore all’Ambiente Donatella Spano, che segue per viale Trento la partita “trivelle” sin dai tempi dello Sblocca Italia. E in Consiglio c’è già qualche oracolo che vaticina un (nuovo) nulla di fatto. Difficile che la giunta faccia uno sgarro al governo Renzi: questa la tesi che circola in Via Roma. Di sicuro, l’esecutivo non ama la via dei ricorsi alla suprema Corte, come dimostra la decisione di non opporsi al decreto Sblocca Italia.

In attesa della posizione dell’esecutivo, rimane sul piatto la sonora bocciatura rifilata dalla Consulta alle sei regioni che proponevano la riabilitazione dei quesiti referendari sul Piano delle aree in cui è possibile trivellare (uno strumento di programmazione che lo Stato avrebbe dovuto mettere a punto con le regioni) e la durata dei permessi concessi alle società petrolifere. La Consulta non ha comunque emesso una sentenza di merito sul conflitto di attribuzione con lo Stato sollevato dai ricorrenti. Piuttosto, si è limitata ad evidenziare che il ricorso doveva essere accompagnato dal via libera di almeno 5 consigli regionali – espresso tramite il voto delle assemblee – al rappresentante delle Regioni nel comitato referendario. In pratica, dietro la bocciatura c’è un grossolano errore. “Tutta colpa del costituzionalista che ha seguito la vicenda”, fanno sapere dalla presidenza del Consiglio regionale.

Per i giudici costituzionali, solo il  Veneto ha seguito la corretta procedura. E proprio il Veneto di Luca Zaia, oggi, è pronto a ridare battaglia, insieme alla Puglia di Michele Emiliano, spostando il conflitto di attribuzione con lo Stato direttamente sulla Legge di Stabilità. È stata, infatti, l’ultima finanziaria a mettere fuori gioco i due quesiti referendari, abolendo il Piano delle aree e intervenendo sulla durata dei permessi rilasciati alle società petrolifere. Insomma, “se la strada è bloccata a valle, cerchiamo una soluzione a monte”: questo devono aver pensato i due governatori. Il punto è che, a differenza di Emiliano e Zaia, Pigliaru avrebbe in mano un asso: un eventuale ricorso presentato dalla giunta sarda avrebbe un peso specifico di gran lunga superiore a quello delle regioni a statuto ordinario. L’articolo 3 dello Statuto speciale dà infatti alla Sardegna potestà legislativa sulle attività minerarie. Insomma, ci sarebbero buone possibilità perché la Sardegna veda riconosciute le proprie prerogative sui temi del piano delle aree e del regime concessorio. Ma presentare il ricorso significherebbe disturbare il manovratore.

Le future mosse della Regione hanno dunque un peso politico. Anche in virtù delle ragioni presentate da Emiliano durante il magazine di La7 “Otto e mezzo”: “ La Puglia è arrabbiata perché produce il doppio dell’energia che consuma, per questo il governo deve sedersi a un tavolo e discutere”. Insomma, il governatore della Puglia ha fatto la voce grossa, precisando che l’estrazione di gas e petrolio da impiegare per la produzione di energia ha il sapore della servitù energetica. Se si parla di produzione di energia in eccesso, anche la Sardegna potrebbe far valere le proprie ragioni, visto  che produce (ed esporta) una quota di energia pari ad oltre il 40% del proprio fabbisogno (e sono in arrivo nuove centrali a gas).

Insomma, tra grossolani errori e profondi silenzi si consuma la commedia all’italiana del referendum sulle trivelle. Che comunque si terrà il 17 aprile, come stabilito.  Tra poco più di un mese, infatti, i cittadini saranno chiamati ad esprimersi unicamente sulla possibilità di fermare i giacimenti in attività entro le 12 miglia dalle coste alla scadenza delle concessioni rilasciate dal governo.  Sul referendum prende posizione anche l’associazione Isde- Medici per l’ambiente, che parla del referendum come di “un’occasione per una più profonda riflessione circa la necessità di cambiare il modello di sviluppo ancor oggi basato sulla combustione dei fossili”. Isde non manca comunque di precisare che, anche nel caso in cui il pacchetto referendario non fosse stato falcidiato dalla Cassazione, i quesiti non avrebbero avuto nessun effetto sulle trivellazioni off-shore nel Mar di Sardegna (in quanto le aree perimetrate dalle società petrolifere distano oltre 12 miglia dalle coste nord occidentali dell’Isola). Inoltre, il referendum non produrrà effetti neanche sulle trivellazioni per lo sfruttamento delle risorse geo-termiche.

“Ecco perché, per il presidente di Isde-Medici per l’Ambiente Sardegna Vincenzo Migaleddu, “la giunta dovrebbe superare la paralisi renzianza che l’affligge e presentare ricorso alla Corte costituzionale, facendo valere le prerogative dello Statuto speciale. Solo in questo modo è possibile contrastare la deriva centralista del governo nella programmazione energetica e nella gestione della salute dei territori”.

Piero Loi

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