Referendum, Pietrino Soddu: “Si annulli scheda scrivendo ‘Sardegna’”

Pietro Soddu, ex presidente della Regione e a lungo parlamentare, lo chiama “gesto clamoroso”. Ecco la proposta in questa intervista di Sardinia Post.

Pietrino Soddu in versione rivoluzionaria non si era mai visto. Nemmeno quando, da moroteo della Dc, anteponeva la difesa delle minoranze al consolidamento delle maggioranze. L’inclusione alla concentrazione dei poteri. Ma adesso, dall’alto dei suoi ottantasette anni, l’ex presidente della Regione – e a lungo parlamentare – sente di invitare i sardi a “riflettere sulla possibilità di un gesto clamoroso”. Dice: “Il 4 dicembre potremmo tutti annullare la scheda, scrivendoci sopra la parola Sardegna: il referendum offre un’occasione unica, e difficilmente ripetibile nel breve periodo, per riportare la questione isolana al centro del dibattito politico nazionale”.

Presidente Soddu, vuole la disobbedienza civile?

No, nessuna disobbedienza. Il mio è un invito alla riflessione, ribadisco. Ma il gesto sarebbe davvero clamoroso, immaginiamolo per un attimo. E anche se può apparire una goliardata, non lo è. Perché la Sardegna non deve continuare a essere una nazione abortita, come diceva Lussu.

Come nasce l’idea di questa rivendicazione alle urne?

Se n’è parlato con diversi amici: discutendo di referendum, abbiamo convenuto sul fatto che, oltre il Sì, il No e l’astensione, può esistere questa quarta via.

Perché il No non è sufficiente?

Perché, nella sostanza, e cioè rispetto all’obiettivo di riportare la questione sarda al centro del dibattito nazionale, è ininfluente. Equivale al Sì. Mi spiego meglio: per la nostra Isola non è più tempo di limitarci a difendere la specialità autonomistica, come nelle ragioni di chi si oppone alla riforma per evitare che venga spazzata via la residuale potestà legislativa. Bisogna fare un salto: dobbiamo diventare una Regione federata all’interno dello Stato unitario Italia. È quindi necessaria una battaglia senza precedenti, approfittando della coincidenza con la solennità di un referendum costituzionale.

Ma non è che l’annullamento delle schede destinate al No, aiuti il Sì?

Questo può essere vero. Ma ripeto: l’obiettivo è rilanciare la questione sarda. Che comprende il rispetto della prima parte della Costituzione, cioè i diritti fondamentali dei singoli cittadini e delle comunità.

A lei la riforma Renzi-Boschi piace?

Allo stato attuale io sono più orientato verso il No. Mi ritrovo sulle posizioni di Onida, Zagrebelsky e De Siervo, tutti ex presidenti della Consulta, costituzionalisti che conosco direttamente e coi quali ho lavorato, anche a Sassari, dove hanno insegnato. Ne condivido l’analisi sulla mutazione inopportuna dell’architettura complessiva che, attraverso il combinato disposto con l’Italicum, configura uno Stato centralista con più ridotti spazi di democrazia. Il che si tradurrebbe pure in un difficile esercizio dei valori di uguaglianza, libertà e solidarietà. Posizione espressa anche da Scalfari, De Mita e De Benedetti, per citarne alcuni. Ma il quadro nazionale non può farci distogliere l’attenzione dalla questione sarda, da quella necessaria emancipazione ancora non raggiunta. Per la nostra Isola si ripropone il copione della settecentesca guerra di successione spagnola, durante la quale i sardi vennero chiamati a scegliere tra Filippo V e Carlo d’Asburgo. Ma fu tardiva la consapevolezza che la vittoria dell’uno o dell’altro non avrebbe cambiato le sorti del popolo.

Ne parla anche nel suo recente libro L’ultima Spagna.

Lo studio della storia rafforza la consapevolezza che solo un’azione all’apparenza clamorosa, ma che di fatto è un’assunzione di responsabilità, permetterebbe di prenderci in mano presente e futuro. L’alternativa è continuare a far decidere ad altri il destino della Sardegna.

È il mantra degli indipendentisti.

Ma io non lo sono. Ripeto: io sono e resto federalista. Convinto del fatto che la specialità autonomistica non sia più l’assetto migliore. Non permette il pieno esercizio della sovranità all’interno del quadro europeo, dove dobbiamo esserci come cittadini italiani di nazionalità sarda. Con una nostra identità, quindi. Il referendum del 4 dicembre, invece, allontana e rifiuta questa prospettiva, perché umilia i regionalismi a scapito di un maggiore e inaccettabile neocentralismo.

In vista del 4 dicembre i sovranisti sardi si sono già organizzati col comitato #BallaCaNo.

Il mio invito alla riflessione è rivolto a tutti: al comitato, al movimento di Michela Murgia, a Unidos di Mauro Pili e a quanti, anche all’interno del Pd e delle altre forze politiche, sono orientati a votare No. Ma mi rivolgo pure a coloro che sono schierati sul Sì. Credendo di fare gli interessi della Sardegna. A tutti dico che per difendere la posizione nazionalitaria, si deve pensare di alzare la posta col possibile annullamento della scheda. Serve quel coraggio mancato ai padri del nostro autonomismo, i quali scelsero una soluzione dolce, con una specialità statutaria inferiore a quella siciliana, per esempio. Io credo che pure gli intellettuali e gli artisti debbano pronunciarsi su un tema di questa rilevanza. Mi riferisco a Fresu, Marras, Fois e alla stessa Murgia. Insomma a quanti, nell’Isola e fuori dall’Isola, si dichiarano preoccupati per il nostro destino.

Vedi ostacoli nella possibilità che la sua proposta venga fatta propria dai sardi?

La paura di manifestare nei momenti storici giusti è forse una nostra costante. Ma la pervicacia di ostinarci nell’errore non avrebbero senso. Questa è l’occasione per uscire anche dal recinto nel quale la politica si è autoreclusa, riducendosi sempre di più a battaglia sportiva: non si va oltre il chi vince e il chi perde.

Il presidente Pigliaru accetterebbe di fare il capo popolo?

Non è necessario un capo popolo: serve che i sardi cambino la prospettiva d’analisi e acquisiscano consapevolezza sul proprio ritardo storico. La riforma Renzi-Boschi è apprezzabile solo nella cancellazione del bicameralismo perfetto e nella soppressione del Cnel. Per il resto non si possono misurare nemmeno gli effetti, perché si parte da un presupposto sbagliato: ovvero il convincimento che lo Stato sia più efficiente concentrando il potere nelle mani dell’Esecutivo. Ma questo è illusorio oltre che strumentale. Non vorrei che questa riforma fosse una macchina truccata come la Wolskswagen. Ciò che oggi appesantisce ogni azione di governo è la complessità sociale, non i sindacati, non le associazioni di categoria.

Perché Roma dovrebbe interessarsi alla questione sarda?

Perché alcune decine di migliaia di schede con la scritta Sardegna avrebbero un impatto, specie in una società distratta come quella italiana. E la questione sarda uscirebbe dai confini della nostra Isola, nella quale il tema è dibattuto in maniera del tutto autoreferenziale e quindi senza reali effetti rispetto all’acquisizione di nuovi spazi di sovranità. Federarci all’Italia non intaccherebbe la leale collaborazione con lo Stato: la Sardegna non risulterebbe isolata, ma sarebbe più forte.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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