Più soldi europei all’Isola declassata? No, sarà solo restituito il maltolto

Conti alla mano, saranno solo una ‘restituzione’ i soldi che la Sardegna avrà in più sulla programmazione europea 2021-2026, in seguito al declassamento da regione “in transizione” a “meno sviluppata”. Alla conclusione si arriva confrontando le dotazioni finanziarie dei tre cicli di investimenti sinora aperti da Bruxelles e gestiti dal Governo nazionale, a partire dal 2000 quando prese avvio il primo settennio di fondi Ue e l’Isola venne inserita nel cosiddetto Obiettivo 1. È successo che negli anni i vari Governi di Roma hanno arbitrariamente tolto alla Sardegna risorse europee per darle alle regioni del Nord e del Centro, Lombardia ed Emilia Romagna soprattutto.

Per capire che l’annunciato aumento di risorse – contestualmente al declassamento – sarà solo in valore assoluto e non relativo, bisogna partire proprio dal 2000: allora la Sardegna si vide assegnare uno stanziamento di 4 miliardi e 686 milioni di euro, comprensivo dei fondi strutturali coi quali l’Isola avrebbe dovuto recuperare il ritardo nella crescita. Erano soldi intoccabili, destinati espressamente alla costruzione di opere pubbliche per colmare la distanza con i territori Ue più ricchi ed evitare di conseguenza un’Europa a due velocità, come invece continua a essere, quasi sempre per un mix tra la complessità degli stessi bandi europei e l’incapacità della politica locale di spendere tutte le risorse a disposizione.

Sul settennio 2007-2013, con l’uscita dall’Obiettivo 1 la Sardegna perse circa un miliardo di euro rispetto ai 4,686 del precedente ciclo, perché nel frattempo nell’Ue entrarono altri dieci Paesi, tutti più poveri e diventati i nuovi destinatari dei fondi strutturali. Precisamente: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Slovacchia ed Ungheria. I quali avevano abbassato la cosiddetta “soglia del bisogno” per stare nella categoria delle “regioni meno sviluppate” e di conseguenza spinsero il Pil della Sardegna nella categoria superiore, quella di “regione in transizione”, perché il valore del prodotto interno lordo dell’Isola superò il 75 per cento della media europea.

Adesso col nuovo declassamento deciso da Bruxelles per via del Pil sceso al 71 per cento, quindi sotto il tetto del 75, alla Sardegna saranno assegnate più risorse rispetto alla attuale programmazione 2014-2020 che vale 2 miliardi e 800 milioni. E si tratterà ancora soldi intoccabili, perché così funziona l’Ue, per decisione di Bruxelles. Ma l’aumento, quantificato in un 30 per cento, non farà altro che riportare la dotazione finanziaria dell’Isola al livello del 2007-2014, a quota 3,6 miliardi, pareggiando in questo modo quell’identico 30 per cento di maltolto che Roma ha imposto alla Sardegna sull’attuale ciclo da concludersi entro il 2020.

Il 30 per cento di 2,8 miliardi corrisponde infatti a 840 milioni che sono esattamente quanto Roma, sul settennio 2014-2020, ha assegnato in più al Nord e al Centro Italia, soprattutto a Lombardia ed Emilia Romagna. Questo dato lo ha ricostruito la Fondazione Ifel, l’istituto per la finanzia e l’economia locale che in un durissimo report sulla gestione dei fondi Ue da parte dei vari Governi nazionali ha rilevato due ordini di problemi: da un lato il centralismo nel decidere come distribuire i finanziamenti europei, dall’altro l’assenza di equità nella loro attribuzione.

Sembra un gioco di scatole cinesi. Il fatto è che passati diciotto anni dalla prima programmazione europea partita nel 2000, la Sardegna si ritrova nella condizione di partenza, visto che oggi come allora ha il Pil sotto la soglia del 75 per cento.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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