Primo ottobre 2013: Francesca Barracciu ha vinto le primarie del centrosinistra da 48 ore, è lei la candidata alla presidenza della Regione. Ma quel giorno, insieme ad altri 32 consiglieri regionali ed ex – tutti Ds, Margherita e Progetto Sardegna – riceve un avviso di garanzia per il presunto peculato commesso nella gestione dei fondi ai gruppi durante la XIII legislatura, dal 2004 al 2009. Una botta, sì, ma gli scudi del garantismo non tardano a sollevarsi. La presunzione di innocenza viene fatta valere da un Pd compattissimo.
Tempo due settimane, però, e gli alleati dei democratici, quando già sono partiti i tavoli di coalizione per organizzare liste e strategie, sollevano la questione morale. Sel e RossoMori, con Luciano Uras e Gesuino Muledda in testa, cominciano a sferrare colpi, quasi quotidianamente. Poi l’obiettivo di ottenere il passo indietro dell’ex consigliera regionale viene affidato a Roberto Capelli, leader del Centro democratico che il 28 ottobre diventa il pontiere dei sovranisti.
Il clima politico nel centrosinistra si fa incerto: il caso Barracciu, la candidata indagata, aleggia come un fantasma. Per il presunto peculato di cui l’accusa il pm di Cagliari, Marco Cocco, i suoi avvocati difensori, Carlo Federico Grosso e Giuseppe Macciotta, si mettono in moto nel tentativo di chiudere in fretta la partita giudiziaria e salvare così la corsa elettorale. La Barracciu si presenta in Procura il pomeriggio del 5 dicembre 2013 per farsi interrogare. Spiegherà che i 33mila euro contestati sul biennio 2006-2008 li ha spesi per l’attività politica, per girare i Comuni della Sardegna.
A venire fuori è una difesa chilometrica: con quei soldi la Barracciu dice al pm di aver pagato la benzina consumata per i 72mila chilometri percorsi nei due anni in questione, a bordo della sua Peugeot 407. Il costo del carburante, spiegherà ancora, le è stato rimborsato dal Pd secondo le tabelle Aci: 0,44 centesimi a chilometro, poi aggiornati a 0,49. Per un totale, appunto, di 33mila euro.
Due giorni dopo – è sabato 7 dicembre 2013 – nella sede Pd l’aspirante governatrice convoca una conferenza stampa. Alle 10. “La candidata sono io”, afferma. Non l’accompagna nessuno. Non un alleato, non un segretario di partito, nemmeno Silvio Lai, allora capo del Pd sardo. Il primo segnale di isolamento è arrivato. Platealmente. Al tavolo non si presentano neppure i big che l’hanno sostenuta alle primarie: da Renato Soru all’allora capogruppo in Aula, Giampaolo Diana. Non si fa vedere neanche Paolo Fadda. Il correntone di Antonello Cabras, invece, non ci può essere perché alle primarie di due mesi prima sosteneva l’ex sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau.
Intanto, nella sua visita del 9 novembre 2013 in Sardegna, Luca Lotti, il deputato braccio destro di Renzi, allora responsabile Pd all’Organizzazione, dà il suo endorsement alla Barracciu: “Nessun problema su di lei, le primarie si rispettano”. La candidatura alla presidenza della Regione sembra blindata. Ma gli alleati non si arrendono.
L’11 dicembre 2013 Lai scrive a Renzi per capire il da farsi. “Dacci una mano”, chiede al suo leader. Il 17 dicembre, Lai e la Barracciu vanno a Roma. Il pressing degli alleati Pd, che vogliono un altro nome, è incontenibile. Renzi prende tempo. Il suo è un nì. Una doccia fredda per l’ex consigliera. Il giorno successivo si scopre che l’eventuale conferma sulla candidatura della Barracciu verrà affidata a un sondaggio. È il preludio del drammatico passo indietro arrivato il 30 dicembre, alla presenza dell’inviato di Renzi, Stefano Bonaccini, allora responsabile Pd agli Enti locali. Alle otto di sera la resa di Francesca.
La Barracciu si concederà uno sfogo a 24 ore di distanza, nell’ultimo giorno del 2013, prendendosela con i capi bastone medioevali, cioè i big del Pd che, accusa l’ormai ex candidata, l’hanno costretta al ritiro dalla competizione elettorale.
Il 6 gennaio 2014 il centrosinistra chiude finalmente il cerchio: per la coalizione correrà Francesco Pigliaru. Renzi viene in Sardegna l’8 febbraio: “Siamo a un passo dalla vittoria”, dice alla Fiera di Cagliari. In prima fila c’è proprio la Barracciu. Il segretario del Pd la cita: “Siamo un partito fatto di uomini e di donne che si sono saputi sacrificare, come dimostra il passo indietro di Francesca”. Quattordici giorni più tardi, Renzi è il nuovo presidente del Consiglio. Il 28 febbraio forma il Governo e per l’ex candidata governatrice arriva il “risarcimento”: il posto da sottosegretaria alla Cultura è suo.
In Procura, intanto, le indagini vanno avanti: il 19 marzo 2014 il pm Cocco contesta alla Barracciu altri 45mila euro. E la questione giudiziaria si complica: il pubblico ministero ha infatti scoperto che la sottosegretaria ha viaggiato due volte all’estero negli stessi giorni in cui diceva di essere nell’Isola per i tour politici. “Sono sempre stata corretta”, si difenderà la Barracciu in un comunicato diffuso il giorno dopo, replicando così, indirettamente, alla Procura che l’accusava di “contraddizioni gravi” rispetto alla sua “difesa chilometrica”.
Non solo: in quei 45mila euro di nuova contestazione – è agli atti -, figurano 3.600 euro che la Barracciu ha versato nel conto della Envolvere srl, società che fa capo al suo compagno, Mario Argentero. Nella srl, che si occupa di formazione professionale, la sottosegretaria è stata amministratore unico fino al 30 settembre 2004, quando lasciò l’incarico perché a giugno era diventata consigliera regionale, eletta nel listino di Soru insieme ad altre sei donne.
Il 28 marzo 2014 la Barracciu cambia legali: al posto di Grosso e Macciotta sceglie Luigi Franco Satta. Il 22 aprile il pm chiede il rinvio a giudizio della sottosegretaria. Arriva la prima nota stampa dell’avvocato Satta, nella quale scrive che la sua assistita “è stata penalizzata dalla decisione della Procura di stralciarne la posizione rispetto agli altri indagati e per questo abbiamo protestato”.
Il lavoro del pm continua: agli atti finisce pure una telefonata della Barracciu al regista Gianfranco Cabiddu. La sottosegretaria gli annuncia che potrebbe essere convocato in Procura come testimone, nell’ambito dell’inchiesta sui fondi ai gruppi. Gli dice se ricorda di averla vista al Festival del cinema a Tavolara, nell’estate 2006 e in quella 2007. Per il pubblico ministero quella chiamata è un tentativo di costruire prove false e chiede l’interdizione della Barracciu dai pubblici uffici,
Il gip Giovanni Massidda si esprime il 9 giugno 2015: la richiesta del pm è respinta, la Barracciu può conservare il posto al ministero dei Beni culturali, sebbene nel dispositivo il giudice per le indagini preliminari parli di “evidente mendacio”.
Il 24 giugno scorso, la prima udienza davanti al gup Lucia Perra sul rinvio a giudizio. Ma c’è subito uno slittamento chiesto dall’avvocato Satta per il legittimo impedimento della sua assistita. Il legale consegna la convocazione della sottosegretaria a una riunione del Governo. Quindi la nuova udienza fissata per il 21 ottobre. Cioè ieri.
Il resto è storia nota: alle 11,40, in poco più di un’ora, è deciso che la Barracciu deve finire sul banco degli imputati. Il processo si aprirà il 2 febbraio 2016. Appena quattro ore più tardi, la sottosegretaria annuncia le dimissioni. Renzi, in serata, dirà a Otto e 1/2, nel salotto tv di Lilli Gruber, che lui non c’entra nulla con quella decisione. Ma la stampa nazionale, con La Repubblica in testa, oggi ha dato una versione differente: la Barracciu, ieri, ha ricevuto due telefonate ascrivibili al premier. Una fatta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti, l’altra dal numero 2 del Pd, Lorenzo Guerini. Due chiamate e un invito: uscire di scena.
Alessandra Carta
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