Roberto Capelli lascia la guida del Centro Democratico. Da domani non sarà più il segretario. “L’avviso di garanzia che ho ricevuto con l’inchiesta sui fondi ai gruppi – spiega – non può essere un’ombra per i candidati del mio partito alle prossime Regionali”. Il deputato – difeso dall’avvocato Anna Maria Busia – è indagato per una spesa sospetta di 129.500 euro, un presunto peculato che risale alla legislatura 2004-2009 quando Capelli era nell’Udc. Oggi l’interrogato in Procura, a Cagliari. Ma intanto l’inchiesta sui fondi ai gruppi sta continuando a segnare questa campagna elettorale. Il parlamentare osserva: “Pur non condividendo la scelta del Pd di mettere in lista tre indagati, sarebbe bene che il centrodestra guardasse in casa propria: tra condannati, imputati ed esponenti sotto inchiesta, da quella parte se ne contano nove”.
Onorevole, domani, quando si chiude la procedura elettorale con la presentazione dei candidati presidente, lei lascia il coordinamento del Cd. Non è che ci ripenserà?
«Assolutamente no. L’avessi potuto fare prima, mi sarei dimesso già il 3 gennaio, quando ho ricevuto l’avviso di garanzia. Ma sono il legale rappresentante del partito, sarebbe stato troppo complicato fare un passaggio di consegne mentre andavano depositati simboli e liste».
Come ha speso quei 129.500 euro?
«Dal ’99 ho due collaboratori, uno a Cagliari e uno a Nuoro, la mia città, dove ha sede anche il mio ufficio politico».
Convegni fatti?
«Fatti e documentabili. Nella passata legislatura sono stato uno dei firmatari del referendum contro la Statutaria. Io stavo all’opposizione: del Ppr ne ho sempre apprezzato i vincoli contro la cementificazione, ma non le intese o la classificazione dei beni identitari. Anche sul Piano paesaggistico ho organizzato diversi incontri con gli elettori».
Rimborsi benzina?
«Nessuno».
Ma se è tutto regolare come dice, perché l’avviso di garanzia?
«Perché la rendicontazione di quelle spese non è stata conservata».
Invece dovevate farlo?
«Il regolamento del Consiglio regionale non lo prevedeva. I partiti, e io dell’Udc sono stato capogruppo per quasi due anni, avevano solo l’obbligo di presentare una rendicontazione annuale al collegio dei questori».
Tutti innocenti, quindi?
«Questo lo deciderà la magistratura, per il cui lavoro ho profondo rispetto. Certo è che sono emersi casi imbarazzanti, sconosciuti ai più anche all’interno del Consiglio regionale. Io dico che, al di là dei regolamenti, c’è un aspetto che nessuna legge potrà mai normare, ovvero il senso etico e morale, il senso delle istituzioni e quello di responsabilità».
Perché Francesca Barracciu è stata costretta al passo indietro?
«Io sono garantista. Su Francesca ho sollevato un problema di opportunità politica, non di natura giuridica: un’eventuale condanna in primo grado della Barracciu, per via della legge Severino, avrebbe comportato la decadenza dell’intero Consiglio regionale, nel caso in cui Francesca fosse diventata governatore».
Alla fine la Barracciu è stata l’unica a pagare: il Pd ha ricandidato tre indagati. Lei l’avrebbe fatto?
«Io rispondo solo delle decisioni interne al mio partito. E proprio per evitare che si allunghino ombre sul Centro democratico, ho scelto di farmi da parte. Non solo come segretario, ma non mi sono ripresentato a queste Regionali».
A Serdiana, al primo incontro di Pigliaru coi cittadini, Romano Cannas, ex direttore della sede Rai di Cagliari, ha invitato gli elettori a non votare gli indagati.
«Ripeto: credo che la mia posizione e quella del Centro Democratico sia chiara e inequivocabile».
Pigliaru vincerà?
«Il 16 febbraio vinceranno Pigliaru e il centrosinistra. Nello scontro tra presidenti mi pare non ci sia partita: uno, il Professore, è fuori da ogni sospetto. L’altro, Cappellacci, è pieno di sospetti».
Uno non ce l’ha più: è stato assolto dall’accusa di bancarotta per la Municipalizzata carlofortina.
«Questo fa piacere. Il problema è che ne ha altri due, con capi di imputazione decisamente scomodi».
Alessandra Carta