Non un criminale qualsiasi, ma Renato Vallanzasca, condannato a quattro ergastoli più 295 anni di reclusione. Alessandra Uscidda (foto-ritratto di Roberto Pili), comandante degli agenti penitenziari nel carcere di Uta (qui l’intervista completa), lo incontrò nel 2008, quando ricopriva lo stesso incarico nel penitenziario milanese di Bollate. Era il primo giorno di Vallanzasca in quell’istituto. Nacque subito una discussione che si concluse con la resa finale del boss.
Tutto ruotò intorno a “un crocefisso con diamanti“. Vallanzasca “lo teneva al collo – ricorda la Uscidda -. Ma ai detenuti è vietato avere oggetti di valore. Io, quindi, gli feci presente il regolamento, ma lui non ne voleva sapere di levarselo”.
Nel confronto la Uscidda non tardò a spuntarla. “Gli feci presente – continua il racconto – che sarei potuta restare lì anche tre ore, ma poi alla fine quel crocefisso me lo avrebbe dato”. Vallanzasca “sorrise, mi guardò e replicò con una frase che ancora ricordo. Mi disse: accidenti, un comandante donna e per di più sarda“. (al. car.)
LEGGI LE PUNTATE DELL’INCHIESTA:
– Intervista al direttore Gianfranco Pala. “Suicidi e autolesionismo? Solo dimostrativi”.
– Parlano i detenuti Paolo Pietro Campus, Dante Lancioni, William Muscas ed Elton Ziri
– La geografia del carcere: nei piani alti i detenuti ‘bravi’.
[L’immagine di copertina è un fotomontaggio]