Per la Sardegna si profila un destino all’insegna di bio-raffinerie ed elettrodotti per trasportare oltre mare l’energia prodotta in loco. Lo stabilisce il piano Juncker per gli investimenti, che include tra i progetti finanziabili (guarda) la bioraffineria che il gruppo Mossi&Ghisolfi intende costruire a Portoscuso, gli impianti della Chimica verde targata Eni-Novamont a Porto Torres e il cavo sottomarino che consente il trasporto dell’energia elettrica dalla Sardegna al continente passando per la Corsica (Sacoi). In tutto, una torta da oltre due miliardi di euro per Eni-Novamont e Mossi&Ghisolfi, che dovrà essere divisa con gli impianti previsti a Gela, Terni, Adria, Novara e Tatrica. Non è invece specificato l’importo che servirebbe a Terna per potenziare il Sacoi.
Come funziona il piano
Il piano – assicurano dalla Commissione europea – metterà a disposizione 315 miliardi finali, per rilanciare gli investimenti all’interno dell’Unione europea. Tutto ruota attorno a un nuovo fondo (Efsi) da 21 miliardi di euro (di cui solo 13 effettivi) che sarà utilizzato per emettere obbligazioni e raccogliere investimenti sul mercato. In pratica, la Banca europea degli investimenti utilizzerà il fondo come garanzia contro i rischi connessi agli investimenti e accetterà di essere pagata dopo i creditori privati. Il passo successivo – oggi ci troviamo in questa fase – è l’invio della lista dei desideri a Bruxelles da parte degli stati membri che aderiscono al piano. Solo in seguito si deciderà quali progetti finanziare. In tutto, sono pervenute 1800 richieste di finanziamento per altrettanti progetti e la Sardegna, come si è visto, trova spazio solo se si parla di energia.
Il piano Juncker e la Sardegna
Certo, le indicazioni provenienti dal piano Juncker incrociano tutta una serie di domande di stretta attualità attorno alle quali si sviluppa gran parte del dibattito sardo sull’energia. Oggi ci si domanda, infatti, se la Sardegna abbia in effetti bisogno di un potenziamento del cavo Sacoi, visto che l’isola già esporta il 43% dell’energia prodotta (dati Terna) o dell’essenzialità, dato che con il collegamento al continente (utilizzato quasi esclusivamente per esportare energia) viene meno la condizione di isola energetica in base alla quale ad alcuni impianti si attribuisce l’onere (e un corrispettivo compenso) per ‘aggiustare’ la rete elettrica in caso di cali di tensione.
Ma proprio sull’energia, e in modo particolare sul prezzo del Mwh, è in atto una partita dai contorni non sempre chiari. Se, infatti, per l’amministratore delegato di Terna Italia Matteo Del Fante “il prezzo dell’energia nell’isola risulta allineato alla media italiana”, per Confindustria Sardegna le imprese locali pagano il 50% in più rispetto ai concorrenti europei. Da qui la richiesta dell’arrivo del metano. Chi avrà ragione? Allo stesso modo, i progetti della Chimica Verde a Porto Torres e della Mossi&Ghisolfi nel Sulcis hanno posto con forza la vexata quaestio degli impatti della coltivazione delle biomasse sul comparto agricolo. E di certo c’è che occorrono decine di migliaia di ettari dedicati alla coltivazione di cardo, canne, colza et similia per soddisfare il fabbisogno delle bioraffinerie di nuova generazione. Oltre che per il consumo di suolo, l’allarme è stato lanciato anche sulle emissioni inquinanti legate alla combustione della biomassa, prevista in molti casi all’interno di aree già vessate da gravi forme d’inquinamento, e del biofuel, che vanta un coefficiente emissivo superiore al prezioso gpl.
Piero Loi