Cambiamento climatico, accaparramento delle terre, disoccupazione, crescita delle diseguaglianze, violenza e guerre sono emergenze collegate tra loro, scrive nel manifesto “Terra Viva”, Vandana Shiva, attivista e ambientalista indiana ieri a Sardegna. E precisa: “A rimetterci sono sempre i più poveri”.
Ci può spiegare quali sono le relazioni tra queste crisi? E perché i più poveri sono anche i più colpiti?
I problemi che oggi ci troviamo ad affrontare sono intimamente collegati ad un’economia basata sul petrolio. E non ci sono solo le aree in cui il greggio viene estratto, come la zona del delta del Niger in cui mi trovavo fino a ieri. Sebbene quei territori siano tra i più compromessi, il punto è che l’intero mondo è dipendente dall’industria petrolifera. Inclusa l’agricoltura che utilizza pesticidi e fertilizzanti prodotti dal petrolio. Va da sè che gli effetti combinati dell’industria estrattiva, delle guerre che si combattono per le risorse naturali (e delle divisioni religiose alimentate ad hoc per accaparrarsele), delle emissioni legate alla combustione dei fossili e dell’utilizzo di prodotti e semi geneticamente modificati che impoveriscono il suolo coincidono con lo spopolamento e la desertificazione di intere aree geografiche. Le masse rurali finiscono per abbandonare le campagne, perché vengono private delle loro fonti di sostentamento e del loro stesso lavoro. E finiscono per riversarsi nelle città, dove le tensioni sociali si acuiscono.
Questa è ciò che lei definisce l’economia lineare. Si esce da questo stato di crisi con l’economia circolare. Di cosa si tratta?
L’economia circolare è un imperativo per evitare il disastro ecologico e il collasso sociale che da questo deriva. Questo modello economico è socialmente sostenibile perché si fonda su un intrinseco equilibrio: ciò che viene preso dalla natura ritorna ad essa (esattamente come avviene nel mondo vegetale, dove la C02 presente in atmosfera viene utilizzata per generare il glucosio, fondamentale per la vita delle piante, da cui viene poi liberato l’ossigeno). Tutto il contrario, insomma, delle emissioni o dei rifiuti generati dai fossili estratti dalla terra. Vale a dire che l’economia circolare non produce né inquinamento né rifiuti. Da un punto di vista sociale, l’economia lineare si basa sull’azzardo, non c’è ritorno perchè gli strati più poveri vengono prima sfruttati poi messi da parte: sono una vera e propria eccedenza generata da un sistema economico che non soddisfa i reali bisogni delle popolazioni. Anzi, distrugge lavoro per le ragioni che abbiamo visto prima e rende le persone dipendenti dal denaro e dallo sfruttamento. All’opposto, l’economia circolare mette al centro i reali bisogni delle persone, e per questo punta a ridurre il ruolo della finanza.
Se applicassimo questo ragionamento alla Sardegna, dovremmo imputare l’attuale disastrosa situazione socio-economica dell’isola alle industrie inaugurate tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Possibile?
Tutto il mondo oggi sta pagando il prezzo della falsa convinzione che l’industrializzazione significasse esclusivamente un’economia basata sul petrolio. D’altra parte, ogni società ha sempre prodotto il prprio cibo, si è dotata di beni maeriali e mezzi di comunicazione. Anche dove non ci sono auto esistono sistemi di mobilità. Basare la modernità e la globalizzazione sull’utilizzo delle fonti fossili mette ogni economia locale all’interno di un sistema che finge di soddisfare i bisogni delle popolazioni. Ma questo è un mondo in cui c’è un enorme speco di energia con troppe persone che non possiedono forme di energia, troppo spreco di cibo e molte persone che non hanno cibo, spreco di acqua da parte di una minoranza e la maggioranza delle persone che ne è priva.
Con una sovrapproduzione energetica pari a circa il 50% del proprio fabbisogno, nuove centrali elettriche alle porte e tre poligoni militari tra i più grandi d’Europa, la Sardegna oggi appare come un hub energetico al confine sud dell’Europa e una grande portaerei al centro del Mediterraneo. Quale ruolo potrebbe invece giocare oggi la Sardegna in quest’area del globo attraversata dalla guerra?
Non solo il Mediterraneo, non solo l’Asia o l’Africa sono in guerra. Gli stati uniti sono forse una società pacificata? Solo pochi giorni fa è stata uccisa una giovane donna per motivi razziali, ogni giorno le città degli U.s.a bruciano. Questo perchè l’economia lineare basata sul petrolio è un’economia militarizzazta che finisce per distruggere la democrazia. Ma ogni singolo individuo, ogni comunità e ogni paese può giocare un ruolo per interrompere questo processo. Da un lato quindi la guerra, dall’altro la pace. Pace con la terra, pace tra la gente, ottenuta con la lotta contro le discriminazioni, per la democrazia. E una scelta può compierla anche la Sardegna. Gandhi ha detto: “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”. Il cambiamento inizia quando ogni villaggio si pone dalla parte della terra, rifiutando il petrolio.
Oggi in nome delle energie rinnovabili si avvalla di tutto: grandi centrali a biomassa, land grabbing per l’agro-industria,impianti fotovoltaici di grossa taglia, tagli a raso di centinaia di ettari di foreste centenarie per l’industria del pellet. Questo è quanto accade in Sardegna e in numerose altre terre del mondo. A quali condizioni le fonti rinnovabili sono una parte della soluzione? E in quali altri casi non lo sono?
Da quando l’estrazione del petrolio ha raggiunto il suo picco massimo si parla di green economy, che non è un’economia circolare, visto che funziona così: “Bisogna prepararsi – si domandano i grandi trusts – alla fine del petrolio?”. Questa la risposta che si danno: “Ok, accaparriamoci le terre africane!”. In altri termini, omettono di dire che la vera soluzione al problema è consumare meno energia. Si tratta di un’evidenza: se continuiamo a sviluppare società ed economie energivore e finisce il petrolio, sfrutteremo dalle terre delle popolazioni povere per generare combustibile. A quanto vedo, anche in Sardegna si tenta questa falsa soluzione. Ma la transizone energetica non può passare esclusivamene attraverso un cambio di combustibile da fossile a rinnovabile, non funzionerebbe: bisogna, piuttosto, costruire economie locali senza petrolio in cui ogni utilizzo legittimo delle rinnovabili non replichi un’ estrazione cenralizzata e di consumo massiccio di energia. Spazio, dunque, all’autoproduzione da fonti rinnovabili e alla generazione distribuita.
Piero Loi