Uno farmacista, l’altro ingegnere, entrambi sardi, anticipano la Brexit e decidono di cambiare vita: tornano in Sardegna e si mettono a coltivare cannabis light. “Una pianta dai mille usi, dalla medicina alla bioedilizia. Il sogno? Avviare una filiera dalla coltivazione al prodotto finito”.
Parola di Massimiliano Quai e Riccardo Congiu, rispettivamente 36 e 35 anni, che da circa un anno e mezzo si sono lasciati alle spalle un passato da emigrati nel Regno Unito e hanno deciso di tornare nella loro isola per darsi, è proprio il caso di dirlo, all’agricoltura. Cappello in testa e barba, dalla mattina alla sera curano un ettaro di terra a ‘Pabarragas’ località nelle campagne di Assemini, alle porte di Cagliari. Stessa origine, ma destini differenti, i due si conoscono per la prima volta a Southsea, frazione di Portsmouth, sud dell’Inghilterra.
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[metaslider id=”723055″]“L’idea di buttarmi su questo settore – spiega Massimiliano Quai, 36 anni, farmacista con anni di lavoro precario in Sardegna e ben pagato all’estero – mi è venuta lavorando in Inghilterra. La sanità lì ha subito molti tagli e le farmacie per guadagnare hanno inserito servizi che poco avevano a che fare con la mia attività e quello per cui avevo studiato. Come farmacista mi sentivo frenato quasi fossi un passa scatole che non doveva fare altro che dare qualsiasi tipo di medicina che veniva richiesta. E parlo anche di farmaci pesanti usati per trattare malanni leggeri. Spesso mi mordevo la lingua non potendo dare altri consigli, magari alternativi come una tisana. Nel frattempo ho iniziato a seguire il grande dibattito che è nato negli Stati Uniti sulla legalizzazione della cannabis a scopo terapeutico o ricreativo. Ho riflettuto parecchio e mi sono detto: i miei affetti sono in Sardegna, il lavoro qui lo vivo in maniera negativa. Ad agosto 2017 ho deciso di tornare e cercare di fare qualcosa di più utile”.
Ma il passo del ritorno non lo compie da solo. Il suo compagno in questa avventura è Riccardo, ingegnere ambientale. “Mi sono laureato ma non ho mai praticato la professione – racconta -. A dir la verità l’idea di realizzare una coltivazione di canapa Massimiliano la stava elaborando assieme a mio fratello ma poi lui è stato assunto a Chicago e così io, che di tanto intanto andavo a trovarlo a Southsea tra corsi di inglese e lavori saltuari in una gelateria, sono subentrato nel progetto”.
Succede tutto in un anno e mezzo. Studiano, mettono in piedi un piano economico e vanno alla ricerca del luogo più adatto. “Dopo vari giri e richieste abbiamo preso in affitto il terreno incolto di proprietà di un parente”. Qui a giugno piantano oltre ottomila piante di canapa industriale e un orto dove sperimentare la coltivazione di melanzane, peperoncini zucchine, pomodori, angurie e meloni. “La canapa che abbiamo piantato è assolutamente legale, di fatto le piante sono prive di Thc – spiegano – la percentuale è dello 0,2% quindi al di sotto dello 0,6% previsto dalla legge come limite”. Il Thc, detto anche ‘delta-9-tetraidrocannabinolo’, è il principio attivo della cannabis che se assunto provoca effetti stupefacenti. “La nostra erba non sballa” e infatti non si preoccupano più di tanto del furto di 160 piante che hanno subito una settimana fa, tra domenica e lunedì: “Qualcuno che probabilmente pensa di aver fatto il colpo grosso rimarrà deluso”. Bassa quantità di Thc ma in compenso le piante dei due agricoltori della Orti Castello, questo il nome della società che hanno messo in piedi, possiedono altre qualità: “Contengono il cannabidiolo, un componente dalle proprietà terapeutiche importanti confermate da diversi studi. Ma la canapa – proseguono – è una pianta dai mille usi, si può fare lo stesso discorso che si fa con il maiale per la carne: non si butta via nulla. Con le varie parti si possono creare prodotti per l’uso terapeutico, dai semi si produce olio e farina, si può cucinare, si utilizza in bioedilizia, per fare pellet, imballaggi, fibra, cosmetici”.
Ancora non si parla di vendite ma il fine è quello: “Ora il nostro obiettivo è avere un prodotto di qualità da poter commercializzare, pensiamo alla vendita al dettaglio o all’ingrosso. Il sogno è creare una filiera della canapa, coltivarla e arrivare ai prodotti finiti” dice Riccardo. Nel frattempo continuano nel loro lavoro, estirpando piante infestanti e scacciando bruchi e insetti di ogni tipo. “Non usiamo alcun tipo di pesticidi, è tutto biologico. E si vede”.
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Andrea Deidda