Taglia le liste d’attesa, “punito” dai vertici dell’ospedale

Un medico della Sanità pubblica che inventa un protocollo per accorciare i tempi delle liste d’attesa senza alcun onere aggiuntivo. Un’amministrazione sanitaria che anziché premiarlo lo sanziona. La storia di Giorgio Fanni, 65 anni, dirigente medico e aiuto corresponsabile del reparto Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, dove lavora dal 1991, è una tipica storia sarda e italiana. Una efficace e triste sintesi dell’eterna lotta tra la burocrazia e il talento. Il dottor Fanni ha accettato di raccontarla a Sardinia Post. Per lanciare un messaggio semplice e forte: “Vorrei dire che occorre impegnarsi in prima persona, e attivamente, per costruire una civiltà più adeguata ai nostri bisogni. Senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà che si incontrano durante il nostro percorso. Mi piacerebbe, nel mio piccolo, fornire un esempio di impegno civico. Non servono dichiarazioni di intenti o solidarietà, serve un semplicemente un supporto concreto. Quello dei fatti”.

Dottor Fanni, come inizia la sua storia?

“Nel gennaio 2010 il direttore della clinica mi affida l’incarico di responsabile di diversi servizi, tra cui l’ambulatorio generale 8, nel quale si esegue la prima visita ostetrico-ginecologica. Preso atto della lista di attesa, decido di migliorare il servizio con l’ampliamento dei giorni di apertura e della fascia oraria. Nel giro di un mese, grazie a questo, è stato possibile azzerare le liste d’attesa. Risultato ottenuto con l’impegno del solo sottoscritto. Senza un locale specifico e senza l’ausilio di altro personale. Ho raccolto i dati in vari report, in cui si potevano leggere i miglioramenti, le criticità e le proposte. E dopo li ho presentati all’azienda.

E cosa è successo?

“A quel punto ho chiesto la possibilità di accorpare, tramite un’unica prenotazione e un unico ticket, la visita medica, con l’ecografia e la colposcopia (ricordo che per legge è possibile fare fino a otto prestazioni con un unico ticket di 46.15 euro). Ciò avrebbe consentito di avere diagnosi tempestive e cure più efficaci, oltre a rassicurare la donna anche da un punto di vista psicologico. La maggiore criticità era, infatti, rappresentata dalla diluizione dei tempi d’attesa nei tempi dell’iter diagnostico. Se una paziente si rivolge alla nostra struttura – salvo non sia un caso urgente – inizia con una visita generale, alla quale seguono ulteriori accertamenti diagnostici, come ad esempio l’ecografia e la colposcopia, effettuati in altri ambulatori. Risulta difficile arrivare ad una diagnosi e ad una cura, perciò, in tempi adeguati”.

Procedure lente, ma dettate dalla necessità di contenere i costi…

“Non è esattamente così, perché alcuni miglioramenti si possono ottenere con la riorganizzazione delle risorse in uso. Volontà e determinazione, nonché la valorizzazione delle risorse umane e tecniche che si hanno, in qualunque campo, portano a risultati significativi”.

Ma per l’eliminazione delle liste d’attesa c’è un apposito piano della Regione, elaborato dall’assessorato alla Salute.

“Certo che c’è. Nell’agosto del 2011 lessi sul giornale di questo piano dell’assessore De Francisci che, con un budget di 21 milioni di euro, aveva l’obiettivo di porre fine alle liste d’attesa mediante la riorganizzazione strutturale dei servizi. Un’intenzione in perfetta sintonia con quanto io avevo già messo in pratica da venti mesi, senza però alcun budget aggiuntivo. E siccome quello stesso piano chiedeva il contributo di tutti gli operatori, inviai alla De Francisci un report sulla mia esperienza. Ero convinto che contenesse suggerimenti utili a come contenere i costi e che fosse nello spirito del suo progetto”.

Quale è stata la risposta della De Francisci?

“Nessuna. Non ho ricevuto risposta”.

E l’Azienda a questo punto che cosa ha fatto?

“Per ragioni di trasparenza e correttezza avevo inviato per conoscenza la lettera indirizzata alla De Francisci anche ai dirigenti dell’azienda i quali mi hanno chiesto formalmente di rivolgere in futuro tutte le mie comunicazioni al direttore della clinica. Da quel momento i rapporti si sono incrinati”.

Cioè?

“Sulla mia proposta di accorpamento degli esami, silenzio totale. La cosa mi ha creato un profondo disagio. A quel punto ho deciso di fare l’unica cosa che era in mio potere, ovvero portare le mie tariffe del servizio privato svolto in ospedale, il servizio intramoenia, a un livello paragonabile a quello del ticket del Centro unico di prenotazione. Era un modo per continuare a garantire alle pazienti gli standard qualitativi offerti dalla nostra clinica e non dilatare ulteriormente i tempi diagnostici. Ho quindi divulgato un documento ufficiale e pubblico, cioè la tabella riguardante le prestazioni dei diversi medici che operavano intramoenia. Con mio stupore, però, l’azienda, nonostante avesse già accettato la riduzione delle mie tariffe, mi ha accusato di comportamento lesivo nei confronti della struttura, per promuovere un interesse personale. Per questo ha deciso di sanzionarmi con una sospensione dal servizio per quindici giorni, senza retribuzione”.

Per “promuovere un interesse personale”?

“Sì, ed è la cosa che mi ha offeso di più dopo aver onorato per trentasei anni, con la mia professionalità, l’azienda di cui faccio parte. Trentasei anni nei quali mai ho ricevuto un rimprovero. Diversità di vedute sull’organizzazione dovrebbero rientrare in una dialettica costruttiva e non dovrebbero essere viste come una sterile volontà di contrapposizione. I vertici dell’azienda sapevano bene di aver da me ricevuto comunicazioni tempestive e collaborative su quanto facevo”.

E com’è finita?

“Dopo un fallito tentativo di conciliazione, ad aprile ho ottenuto dal tribunale di Cagliari l’annullamento totale della sanzione e la condanna dell’azienda alle spese legali”.

Che riscontro ha avuto, invece, dall’utenza?

“Una piena soddisfazione per i miglioramenti apportati. È forte nei cittadini il desiderio di una maggiore informazione e di un maggior coinvolgimento nelle dinamiche diagnostico-terapeutiche. Le domande più frequenti sono: perché il privato può garantire tutti gli esami nell’immediato mentre nel pubblico ci vogliono tanti mesi? O ancora: perché non si può accedere tramite Internet alle liste d’attesa di ogni singola struttura ospedaliera? E perché non si trovano le giuste segnaletiche per raggiungere i diversi ambulatori? Insomma, l’utenza lamenta la carenza o l’assenza di supporti informativi che consentano di muoversi in maniera autonoma e soprattutto celere all’interno delle strutture ospedaliere”.

Cosa intende fare adesso?

“Solo il mio lavoro. Cioè continuare a supportare le donne e i pazienti più in generale, perseguendo l’obbiettivo di accorpare nel pubblico i diversi esami, così come avviene nel privato. Lo faccio per permettere a chi non ha risorse economiche adeguate di potersi curare dignitosamente ed efficacemente. Non sono l’unico a portare avanti questa battaglia. Ormai numerose e in continua crescita sono le pazienti stanche di sentirsi estranee all’organizzazione sanitaria e che rivendicano l’intenzione di partecipare attivamente al cambiamento”.

Per dirla in poche parole: i pazienti vogliono essere informati.

“Proprio così. L’informazione è il punto chiave. Per questo sto allestendo con dei professionisti e dei volontari un punto informativo che si chiama “Dimensione Sanità”. Alcuni giorni fa abbiamo aperto ad Uta, tra un po’ lo faremo a Cagliari. “Dimensione Sanità” sarà un centro d’ascolto e d’informazione alla salute: sulle prassi da seguire da parte del paziente e sui diritti garantiti dalla legge. Diritti che, troppo spesso, rimangono lettera morta”.

Davide Fara

fanni

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