Emergono nuovi dettagli sulla sentenza della Corte d’appello di Roma che oggi ha dichiarato legittimo lo stop ai lavori a Tuvixeddu, dove la ‘Nuova iniziative coimpresa’ del gruppo dell’imprenditore cagliaritano Gualtiero Cualbu voleva realizzare un investimento immobiliare autorizzato da Comune e Regione nel 2000 e bloccato dalla giunta di Renato Soru sei anni dopo, contestualmente all’applicazione dei vincoli di inedificabilità previsti dal Piano paesaggistico (Ppr). A Tuvixeddu vennero rinvenute, fuori dall’area sotto tutela, 1.200 tombe puniche, di qui il blocco del cantiere. I nuovi dettagli li ha scritti in una nota l’ufficio stampa di viale Trento, visto che la sentenza odierna è arrivata sull’impugnazione presenta dalla Regione nel 2013 al lodo arbitrale che a luglio 2014 ha imposto alla stessa Regione il pagamento di un maxi risarcimento da 77,8 milioni, salito a 83 milioni e 850mila euro con gli interessi legali. I giudici romani hanno invece stabilito che l’importo dovuto è di 1.205.900 euro.
“La Corte d’Appello di Roma – si legge nella nota – ha accolto l’impugnazione del lodo arbitrale presentato dalla Regione nel 2013 in merito alla vicenda di Tuvixeddu. In sostanza la Seconda sezione civile sottolinea che dal settembre 2006, cioè dall’entrata in vigore del vincolo del Pppr, già riconosciuto definitivamente legittimo dai giudici amministrativi (prima il Tar e poi il Consiglio di Stato), nessun danno può essere riconosciuto al costruttore ‘Nuova iniziative coimpresa’ srl per il blocco dei lavori subito dall’applicazione del Ppr”.
IL DOCUMENTO – La sentenza della Corte d’appello di Roma
Quanto al milione e 205mila euro che la Regione deve comunque al gruppo Cualbu, la Corte d’appello di Roma ha scritto: “Il risarcimento non può che essere limitato all’unico provvedimento risultato illegittimo e che aveva determinato un ritardo (ipotetico) nell’avvio del cantiere, vale a dire quello di sospensione dei lavori, emanato nell’agosto del 2006, e quindi prima della entrata in vigore del Ppr – l’8 settembre di quello stesso anno – dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo”. Di qui la riduzione a 1.205.900 euro dell’importo dovuto alla srl, perché la Regione – hanno stabilito i giudici romani – può rispondere solo degli atti amministrativi non validi, mentre la sospensione in sé dell’investimento immobiliare è stata considerata regolare dalla Corte d’appello di Roma.
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Per calcolare la somma è stato quantificata una somma quotidiana di danno, fissato in 38.900 euro e da applicare a ciascuno dei trentuno giorni di ritardo che i giudici romani hanno imputato alla Regione e individuato dal 9 agosto 2006 all’8 settembre 2006. “Tenuto conto – prosegue la sentenza – che per ogni giorno di ritardo è stato calcolato un pregiudizio della società Coimpresa pari ad euro 38.900,00, la Regione deve essere condannata al pagamento dell’importo complessivo di euro 1.205.900″.
Stando a quanto è spiegato nella nota di viale Trento, la sentenza “consente alla Regione il recupero delle somme depositate a favore di ‘Nuova iniziative coimpresa’”. Stando così le cose, nelle casse della Sardegna c’è un’immediata disponibilità di 82 milioni circa, sebbene manchi ancora un ultimo grado di giudizio davanti alla Cassazione.
Infine, in merito all’efficacia dell’articolo 49 delle Norme Tecniche di Attuazione (Nta), la Corte precisa che “con l’adozione del Ppr (da parte della Giunta, mentre l’approvazione è stato compito del Consiglio Regionale), l’esecuzione di lavori di edificazione all’interno dell’area inserita nel piano era divenuta irrealizzabile. Ne deriva che indipendentemente dalla perdurante efficacia di questo e degli altri provvedimenti cautelari illegittimi, l’edificazione era stata comunque impedita dalla intervenuta approvazione della misura transitoria di salvaguardia, sino a quando il Comune di Cagliari non si fosse dotato di un Piano urbanistico regolatore conforme al Ppr”.