Mentre dall’Isola continuano a partire le bombe che i sauditi sganciano sullo Yemen, lo scorso 15 giugno il Parlamento europeo ha chiesto per la seconda volta in un anno lo stop alle forniture di armi destinate all’Arabia Saudita. Un’altra richiesta di embargo è stata indirizzata al parlamento italiano dal movimento pacifista pochi giorni fa, in seguito al recente ritrovamento di nuovi armamenti targati RWM nel paese della regina di Saba. Solo con il blocco dell’export della morte, sostengono eurodeputati e pacifisti sarà possibile fermare le violazioni dei diritti umani nello Yemen, dove l’Onu è arrivato a contare 10000 morti tra i civili. Ma è molto probabile che il provvedimento segua le sorti dell’analoga risoluzione del 25 febbraio 2016, mai discussa dalle Commissioni del Senato a cui era stato assegnata nell’aprile del 2016. Con buona pace dei civili yemeniti. Intanto, un anno di silenzio del Parlamento sulla risoluzione ha fatto lievitare l’export di armi destinate a Riyadh. Nonostante l’atroce guerra in atto. Ecco perché, secondo Strasburgo, queste spedizioni violano la Posizione comune adottata dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2008. L’inosservanza della norma viene confermata dall’Ufficio Stampa della Commissione Europea, che ha risposto ai quesiti posti da Sardinia Post. Ma non è chiaro se la violazione abbia effetti giuridici. Il caso, dunque, è alquanto singolare. In Europa, infatti, sembra possibile infrangere le norme de facto senza violarle de iure. Almeno per quanto riguarda l’export di armi.
Yemen: lontano dagli occhi, lontano dal cuore
Proprio così: al Senato importa poco dello Yemen, nonostante il governo autorizzi l’export delle armi utilizzate dai sauditi contro gli yemeniti. La quattordicesima commissione (Politiche Unione Europea) e la terza (Affari Esteri) ormai da oltre un anno tengono chiuso in un cassetto l’atto adottato da Strasburgo nel febbraio del 2016. Sentite sulla vicenda, le segreterie dei parlamentini di Vannino Chiti (quattordicesima) e Pierferdinando Casini (terza) precisano che “questa è la sorte che tocca un po’ a tutte le risoluzioni adottate da Strasburgo, trasmesse a Roma per mero atto formale”. In effetti, le risoluzioni del Parlamento europeo non comportano nessun obbligo per i commissari. Le commissioni assegnatarie avrebbero però potuto discutere quegli atti, dando a loro volta vita a una risoluzione o un altro atto di indirizzo da sottoporre al governo su impulso della quattrodicesima commissione. Così stabilisce il regolamento del Senato. A conti fatti, la questione è squisitamente politica: o c’è la volontà di affrontare il problema o non se na fa niente. Appare chiaro, allora, che lo Yemen non è una priorità della politica.
L’Olanda di Mark Rutte ha già detto no ai sauditi
Certo, la vicenda rende anche evidente quanto siano limitati i poteri di Strasburgo e debole il coordinamento con i parlamenti nazionali, nonostante gli onorevoli dell’una e dell’altra assemblea indossino la stessa casacca. Ma non ci si può trincerare dietro un dito. Non l’ha fatto il parlamento olandese, che, a distanza di 20 giorni dal 25 febbraio 2016, ha votato lo stop all’export di armi in Arabia Saudita, citando le ripetute violazioni dei diritti umani nello Yemen. Gli effetti si vedono: nel 2016 l’Olanda ha infatti autorizzato la vendita di armi ai sauditi per soli 200mila euro, si legge nel rapporto diffuso a inizio maggio dal governo di Mark Rutte. Con ogni probabilità si tratta di licenze concesse prima del 19 marzo 2016. In precedenza, anche la Germania aveva disposto un parziale embargo contro Riyad a inizio del 2015. Di embargo non ne vuol sentir parlare il presidente americano Donald Trump, che ha di recente chiuso un accordo del valore di 110 miliardi di dollari per la vendita di armi ai sauditi durante il suol ultimo viaggio in Medio Oriente. Quel contratto non promette bene. Dopo la visita di Trump, infatti, l’ottantaduenne sovrano Salman Bin Abdulaziz Al Saud ha deciso di nominare nuovo principe ereditario Mohammed Bin Salman, attuale ministro della Difesa e principale artefice della guerra nello Yemen.
La linea diretta “Domusnovas – Riyadh”
Per un’Olanda che dice no c’è un’Italia che, al contrario, vede aumentare di anno in anno il valore commerciale delle licenze legate all’export di armi destinate alla petromonarchia. Ormai da tempo, i sauditi sono infatti tra i maggiori importatori dei sistemi d’arma made in Italy. Anche grazie all’attività della RWM Italia Spa, società con sede legale a Brescia e stabilimenti in Sardegna che con gli Al Saud sembra avere un rapporto preferenziale.
Ma quelle esportazioni sono regolari? Le procure di Cagliari e di Brascia hanno stabilito che le armi prodotte negli stabilimenti del Sulcis-Iglesiente vengono esportate in forza di regolari autorizzazioni. Di recente, però, la palla è stata passata ai magistrati romani, affinché verifichino la regolarità dell’operato del ministero degli Esteri, dicastero preposto al rilascio delle autorizzazioni. Dunque, si rimane in attesa.
Bombe a Riyad, per l’UE non si può fare. Anzi sì
È, in ogni caso, certo che durante il 2016 – ovvero a guerra in corso – ci siano state esportazioni di armi dalla Sardegna verso l’Arabia Saudita. Allora c’è stata una violazione della Posizione adottata dal Consiglio d’Europa nel 2008, verrebbe da dire. Quella nora, infatti, stabilisce che“gli Stati membri devono rifiutare licenze di esportazione qualora le attrezzature militari da esportare possono essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale”, come accertato dall’ONU nello Yemen. Eppure la violazione non c’è, pur essendoci. A tal proposito, Bruxelles spiega che la decisione di emettere un embargo sulle armi è di totale competenza del Consiglio, quindi degli Stati membri dell’UE. E che, in quel contesto istituzionale, l’embargo deve essere votato all’unanimità. Ciò che è certo è che nessuna decisione è stata presa. Né il problema è all’ordine del giorno, un po’ come al Senato. Dunque l’embargo non c’è e neppure le violazioni.
Bruxelles precisa anche che “l’esportazione di armi dall’UE è soggetta alla posizione comune , vincolante per tutti gli Stati membri e attuata sotto la loro responsabilità”. Ci sono, dunque, dei vincoli cogenti? La risposta è ni, perché gli i singoli paesi dell’UE sono responsabili delle proprie decisioni di autorizzazione all’esportazione. In altri termini, “la decisione finale se autorizzare o negare un’esportazione rimane a discrezione nazionale degli Stati membri”. Peccato che la discrezionalità porti a tenere chiuse in un cassetto le risoluzioni di Strasburgo.
Piero Loi
@piero_loi