Rendere “pop” il fenomeno, accessibile e comprensibile a tutti, perché più persone sono consapevoli della gravità dello spopolamento in Sardegna e maggiore sarà il numero di soluzioni possibili. Mira a questo “Spop – Istantanea dello spopolamento in Sardegna”, studio a cura del collettivo Sardarch (Francesco Cocco, Nicolò Fenu e Matteo Lecis Cocco-Ortu) e presentato a Cagliari col sostegno della Fondazione Sardegna.
Al centro dell’indagine realizzata con il contributo di architetti, storici, sociologi, antropologi, un dato aggiornato: nell’Isola esistono 31 comuni con meno di 1000 abitanti che sono “a tempo determinato”, si prevede che scompariranno entro 60 anni. Fra loro: Armungia, Seulo, Ballao, Baradili, Esterzili, Morgongiori, Soddì. Di questi 31, su 377, quattro si trovano in montagna, 26 in zona di collina interna e uno in collina costiera. Nessuno in pianura.
I dati sono ottenuti attraverso l’elaborazione di un indicatore volto a misurare lo Stato di malessere demografico (Sdm) dei comuni tenendo conto dei 13 servizi considerati essenziali (scuole, guardia medica, farmacia, ambulanza, centri anziani, uffici postali, stazioni di polizia e carabinieri). Ebbene, in nessuno dei comuni in questione sono presenti tutti i servizi. “E’ importante che si continui a parlare in modo diffuso di spopolamento – ha detto uno dei tre autori di Spop, Matteo Lecis Cocco-Ortu – allo studio affianchiamo le risposte nel territorio delle comunità locali, risposte ancora frammentarie e non coordinate”.
Secondo il presidente della Fondazione Sardegna, Antonello Cabras, “parlare di spopolamento in Sardegna non è come parlarne in continente: immaginare una Sardegna senza questi 31 Comuni significa pensare a un’altra Regione”. Al convegno per analizzare il fenomeno hanno portato la loro esperienza, tra gli altri, l’imprenditrice Daniela Ducato, lo chef Roberto Petza, il Ceo di Sardex Roberto Spano, la direttrice dei Musei civici di Cagliari Anna Maria Montaldo, la direttrice di progetti Sprar in Sardegna, Katia Luciani.