La Sardegna è un’isola sotto sfratto. Effetti della crisi economica, mutui contratti a tassi fissi all’epoca sostenibili e poi diventati fuori mercato, tassi variabili da schizofrenia; le cause sono tante, l’effetto uno solo: nell’Isola crescono gli sfratti, la maggior parte dei quali per morosità.
Prendendo i dati pubblicati recentemente dal ministero degli Interni si può osservare come la Sardegna sia in testa alla classifica per l’aumento degli sfratti eseguiti: nel 2012 siamo a quota 315, con una crescita rispetto all’anno precedente del 77%. La Sardegna è la prima regione italiana in questa speciale (e tragica) graduatoria. Poi ci sono i provvedimenti esecutivi di sfratto, quelli non ancora portati a compimento, ma che nei prossimi mesi dovranno essere eseguiti: nell’Isola l’anno scorso se ne sono registrati 670, con un incremento del 32,7% rispetto al 2011.
I numeri assoluti non sono straordinari, vista la scarsità di popolazione della Sardegna in rapporto alle grandi regioni italiane. Ma quello che fa fare un balzo sulla sedia sono le percentuali: la media italiana su 67.790 provvedimenti esecutivi di sfratto è del + 6,2% (la Sardegna è al + 32,7%); per gli sfratti eseguiti, addirittura, il numero complessivo di 27.695 nel 2012 vede una percentuale in ribasso sull’anno precedente del -3,3% (quando, come abbiamo visto, la Sardegna tocca il record di aumento di sfratti eseguiti con il +77%).
Le altre Regioni e il caso Sardegna
In questo contesto, e davanti al dibattito sulla abolizione dell’Imu, sorge una domanda: il problema in Sardegna sono le tasse sulla prima casa, soprattutto se improntate a criteri di progressività e, dunque, di un minimo di giustizia sociale? Davanti a chi la perde una casa, il dubbio andrebbe sollevato. Si deve tenere presente, infatti, che il 90% degli sfratti eseguiti riguardano situazioni di morosità. Famiglie che non riescono a pagare affitti o mutui per mancanza di un lavoro e per redditi che non riescono a superare la soglia di sussistenza. In questo senso la Sardegna sembra risentire di un tessuto economico che si sfibra giorno dopo giorno e di una vera e propria emergenza sociale: basti pensare che la Lombardia registra un incremento degli sfratti eseguiti “solo” del 2,4%, mentre una regione come la Sicilia segna un trend in controtendenza con il calo degli sfratti eseguiti nel 2012 del 12%.
Il mostro a due teste del colpo ad effetto dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa produce anche un altro risultato: da una parte priva i Comuni, legittimi esattori dell’imposta, di introiti determinanti per i servizi sul territorio, rinnegando proprio quel federalismo fiscale e la devolution contabile che erano state le basi del presunto riformismo di buona parte degli anni Duemila. L’effetto moltiplicatore funziona poi al contrario: meno soldi nelle entrate nei Comuni significano tagli alla spesa sociale e, nella fattispecie, anche alle politiche abitative, che rappresentano una delle voci più sensibili alle cesoie in tempi di bilanci in rosso. A essere colpiti – secondo il segretario nazionale del Sunia, Daniele Barbieri – sono le fasce più deboli, il 20% di popolazione che vive in affitto e che è in genere composto da giovani precari o famiglie che non riescono ad accedere ai mutui o, infine, gli immigrati. E neanche l’alto prezzo degli affitti può più essere la sola causa: visto che negli ultimi 5 anni gli affitti sono calati del 6%
I dati di Cagliari, il problema di nuove case popolari e l’housing sociale
Il problema può essere affrontato, ma si deve partire dal punto fondamentale: occorrono risorse per avviare politiche della casa che contengano l’emergenza. Alla fine del 2012 i sindacati avevano presentato i dati della città di Cagliari: 1.180 domande per gli alloggi popolari, 840 domande per alloggio pubblico a canone moderato, 900 domande per accedere al fondo sostegno affitti, centinaia di sfratti esecutivi per morosità definita incolpevole.
Anche a Cagliari l’80% degli sfratti è per morosità, nella media nazionale. Secondo i sindacati a Cagliari servirebbero 1.500 alloggi popolari. Una cifra impressionante, che rende bene l’idea sui soldi necessari per affrontare il problema. E proprio le statistiche indicano nella carenza un po’ dappertutto di case popolari uno dei problemi da affrontare, insieme con il mancato decollo in Sardegna del cosiddetto “housing sociale”.
Problemi burocratici a livello nazionale, i mille rivoli di un apparato burocratico soffocante e, in definitiva, inefficiente hanno bloccato uno strumento che poteva anche essere un volano per l’economia: “l’housing sociale”, infatti, rappresenta quella formula che consente di realizzare alloggi e servizi per coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo. E alla quale associa progetti di tipo sociale, con lo scopo di far nascere comunità e sviluppare l’integrazione. Una sorta di edilizia low cost, che però si differenzia dall’edilizia popolare pura per la sua declinazione in chiave di welfare. Un esempio? S’immagini un condominio in cui il collante sociale è garantito da una serie di servizi legati alla cura della persona (dalla baby sitter per i bambini alla badante per gli anziani), in cui gli affittuari/condomini possano persino aiutarsi l’un l’altro offrendo servizi legati alla cura della persona. Fanta-società? Per ora a essere “fanta” è soprattutto la normativa, nel senso che non c’è. A spese del futuro dei giovani e della coesione sociale.
Il “co-housing” e il caso Olbia: una storia di cattiva amministrazione
Il co-housing poi, la nuova frontiere dell’edilizia a basso costo, non può avere cittadinanza in alcune parti della Sardegna. Un esempio paradigmatico è quello di Olbia. Il motivo? Manca il Piano urbanistico comunale. Cioè lo strumento fondamentale nella programmazione urbanistica di una città. Uno strumento del vivere civile che, dopo mille promesse, giace ancora negli uffici comunali dell’amministrazione di Gianni Giovannelli.
Così davanti al flop dei progetti per l’edilizia popolare, davanti a molte persone che non possono permettersi un’abitazione e a giovani coppie che sono costrette a svenarsi per un affitto o rimanere nella casa dei genitori, il Puc non sembra essere né un’urgenza, né tanto meno una priorità. Il co-housing, l’alternativa alla crisi dell’edilizia, prevede infatti una sinergia fra Comune e cooperativa di proprietari. il Comune mette a disposizione i tecnici per seguire il progetto, chi vuole costruirsi la casa mette il materiale e il proprio lavoro. Con questo sistema si può risparmiare dal 50 al 70 per cento sul prezzo di acquisto sul mercato immobiliare. Con 120 mila euro, per fare un esempio, si può metter su casa con giardino e arredi. Solo che senza le regole urbanistiche, la Regione non può elargire i contributi che si mettono a disposizione per incentivare il co-housing. Per questo Olbia è uno dei pochi grandi comuni sardi che non ha partecipato al progetto.
Giandomenico Mele