Saranno i colori, i profumi, i goccius recitati all’unisono, oppure quel carro dall’incedere traballante carico di ex voto, sarà l’atmosfera che riunisce giovani e anziani, sacro e profano, cagliaritani e non: Sant’Efisio, Efisio come lo chiamano in città, dopo quattro secoli di venerazione è forse l’enigma più grande della Sardegna. Come può un simulacro di legno creare un’emozione così commossa e palpabile? Perché migliaia di persone, credenti e non credenti, ogni anno accompagnano la processione in maniera tanto sentita? Come è possibile, soprattutto, che atei e agnostici siano tanto attratti dal Santo al punto di seguirlo, aspettarlo, emozionarsi?
Abbiamo fatto una piccola inchiesta tra devoti ‘laici’, quelli che non essendo credenti non perdono l’appuntamento con Efisio nei giorni in cui lascia la chiesetta di Stampace e viene portato in processione il 15 di gennaio, il giovedì prima di Pasqua e il lunedì di Pasquetta, e infine il 1 maggio, giorno della festa più grande che da Cagliari arriverà fino a Pula. Le risposte che abbiamo avuto sono tante e diverse. Una sola conferma, da tutti: l’emozione per Sant’Efisio non ha spiegazioni, è un mistero puro.
Cagliari si prepara per la 361esima Festa di Sant’Efisio
“Non mi è mai importato nulla di riti e processioni, non vado in chiesa, ma quando mi trovo lì l’emozione è fortissima”. Alice Medda, cagliaritana di 37 anni, ha conosciuto la leggenda del martirio di Efisio circa 15 anni fa, quando studiava all’Università di Cagliari, facoltà di Lettere classiche. L’esame di archeologia medievale richiedeva di approfondire la storia della cripta, quella che ancora oggi si può visitare a Stampace: secondo il martirologio qui Efisio, soldato di Antiochia sotto l’imperatore romano Diocleziano, fu imprigionato e torturato prima di venire decapitato a Nora il 15 gennaio del 303 dopo Cristo. “Con questa tesina presi 30 e lode all’esame – prosegue Alice – decisi allora di fare qualcosa che non avevo mai fatto: ringraziai il santo. Andai alla processione per la prima volta e inspiegabilmente mi commossi sino alle lacrime. Ora vivo a Mamoiada e seguo la festa in tv, quando sento le sirene del porto che suonano al passaggio del santo mi emoziono”.
Anche Enrico Casini, 43 anni, di Cagliari, si considera ateo. “Da tempo non sentivo nessuna particolare affezione verso la figura di Sant’Efisio. Negli ultimi anni però ho scoperto un’emozione grandissima”. Casini fa la guida turistica e ha rivisto negli ultimi anni la liturgia del santo con gli occhi dei visitatori. “Mi pare sia uno dei pochi casi in cui davvero le comunità coinvolte direttamente nel rapporto con Sant’Efisio divengano pure. E non mi riferisco solo ai Cagliaritani: a Pula ho sentito un’atmosfera incredibile, ho parlato con chi alleva i buoi per il cocchio, con chi si occupa delle chiesette. Penso che sia più profonda la fede in Sant’Efisio che in Gesù Cristo”. Un’emozione estremamente legata anche all’infanzia: “È una forma di nostalgia quasi sociale che contrasta con le mie posizioni, ma ho smesso di interrogarmi e ho iniziato a prendere quello che sento per come si presenta, cioè un emozione profondissima. Sant’Efisio è purezza, Sant’Efisio è sopra ogni polemica. È forse l’unica manifestazione del sacro che non dissacrerò mai. Non penso che mi capiterà di invocarlo, ma spero di vivere sentire sempre questo sentimento nei suoi confronti, nei confronti delle mie radici”.
Legato all’infanzia anche l’affetto evocato da Susanna Paulis, 40 anni, antropologa: “Quelli su Efisio sono ricordi personali che molti cagliaritani condividono. La festa per me è l’infanzia che ritorna ogni anno: una delle finestre della casa dei miei nonni paterni si affacciava sulla via Sassari, e da lì spesso aspettavamo il passaggio del Santo. È la commozione che ho visto negli occhi dei miei nonni e che riprovo anch’io, ogni volta che vedo ondeggiare il cocchio da lontano, annunciato dalle launeddas. Sono credente, ma se e anche non lo fossi mi commuoverei lo stesso. Sant’Efis è il mio santo di primavera, è l’identità corale di una città”.
Ester Cois, sociologa dell’Università di Cagliari, ricorda che il passaggio del santo nella sua città natale, Sarroch, era l’evento dell’anno. “Era il momento in cui le nuove coppie si palesavano in pubblico, i bambini potevano stare alzati, una specie di bilancio annuale di comunità. Da adulta, la rassegna vivente del genio tessile creativo di ogni paese dell’isola mi è sempre sembrata un incredibile trionfo di bellezza, quindi penso che la mia affezione sia molto mondana. Prima giocata sulla memoria della comunità in cui sono cresciuta, poi sull’estetica pura”.
“Adoro i costumi e la ricchezza della festa da un punto di vista etnografico, ma in realtà per me è più un amore istintivo”. Elena Anna Boldetti, cagliaritana, è funzionario architetto della Soprintendenza dei beni culturali a Sassari; anche lei ribadisce di non essere religiosa e anche lei ammette di commuoversi alla vista del Santo. “L’atmosfera, per strada, è molto piacevole. Si respira una serenità che normalmente manca. Forse è anche l’eterogeneità del pubblico: sciami di fotografi, fedeli tiepidi, fedeli ferventi, disperati alla ricerca della grazia. Ma anche atei, molti, bambini di tutte le età, famiglie. E i turisti impressionati dalla bellezza dei costumi che noi diamo per scontata, ma è incredibile. Il momento de sa ramadura, con l’odore dei petali profumati che si mischia a quello dei cavalli, con le sirene che salutano il santo mi commuove sempre e in verità non so perché. Credo sia questo il vero mistero”.
La città e i suoi colori, l’atmosfera nelle strade cagliaritane anche nei ricordi di Ambra Floris, attualmente occupata nella progettazione culturale: “Sono agnostica convinta da oltre 15 anni ma il rientro di Efisio continua ad avere su di me un fascino particolare: mi piace l’atmosfera, sentire i goccius, vedere i costumi… Mi attrae il modo in cui cambia il centro della città che, dal tramonto, si riempie di colori e suoni inconsueti e che rimandano alla tradizione”. Anche Francesca Madrigali, giornalista, si è chiesta spesso il motivo di tanta devozione pure in chi non crede: “Penso sia un sentimento collegato alla città: trovo molto bella la partecipazione della gente, il fatto che il santo sia allo stesso temo venerato e pensato come uno di famiglia. È tipico infatti ‘aspettarlo’, chiedersi a che punto è, se è in ritardo, come se si stesse parlando di un amico, un familiare”.
Gigi Carreras lavora nell’ingegneria radiomobile con una compagnia telefonica. Anche lui ateo, e anche lui devotissimo. “Anni fa, quando lavoravo a Milano, ho sentito il bisogno forte di qualcosa che mi facesse sentire attaccato alla mia città; così ho contattato il presidente del gruppo folk Villanova per partecipare alla processione. Vedendo la festa dall’interno mi sono reso conto di quanto il sentimento che lega le persone al santo vada ben oltre la simbologia cattolica. A Cagliari è chiamato semplicemente Efisio come un amico, un parente, nel quale si confida e col quale si ha una confidenza tale da poterglisi rivolgere con il tu. Efisio è un simbolo di Cagliari, e in lui si fondono l’aspetto civile e quello religioso: c’è la municipalità nella figura dell’Alter nos, e c’è l’Arciconfraternita che decreta lo scioglimento del voto. Il fatto che Efisio sia un santo è solo occasionale, anche se storicamente coerente con le vicende che l’hanno poi trasformato in simbolo di venerazione da parte della popolazione. Chi si riconosce in Sant’Efisio riconosce il fatto che una città intera ha riposto le speranze di grazia contro una concreta minaccia incombente, la peste nera, che avrebbe potuto sterminare una comunità piccola come quella di Cagliari e che questa grazia si sia avveratae. Ecco perché chi si sente cagliaritano nel profondo, nell’intimo viscerale, si sente legato a Efisio e lo vuole vedere, toccare, onorare a modo suo”.
Secondo la sociologa Lilli Pruna nel ‘mito’ laico di Sant’Efisio entrano in gioco tre fattori: “Sant’Efisio è uno, unico, anche nell’iconografia, diverso da tanti altri santi e sante; è raffigurato come un ragazzo comune, con riccioli e pizzetto e un’espressione curiosa più che sofferente (non piange, non alza gli occhi al cielo, non sanguina: sembra passato incolume al martirio, potente e sereno); Sant’Efisio è davvero festeggiato più che commemorato, con riti collettivi coloratissimi e in larga parte gioiosi, a cui chiunque può unirsi e partecipare. Insomma, una grande festa, non certo una mesta processione”.
Francesca Mulas