Sono stati i rimborsi benzina a segnare il passo nella requisitoria del pm Marco Cocco che oggi ha chiesto cinque anni di condanna per l’ex sottosegretaria alla Cultura, Francesca Barracciu (Pd), accusata di peculato aggravato nell’ambito dell’inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale. Il collegio giudicante, presieduto da Massimo Costantino Poddighe (a latere Francesco Alterio e Andrea Mereu), ha già fissato la data della sentenza, prevista per il prossimo 5 dicembre.
I rimborsi benzina emersero il 5 dicembre del 2013, durante il primo interrogatorio in Procura dell’esponente dem: sono la famosa difesa chilometrica con la quale Barracciu giustificò i 33mila euro ricevuti tra il 2006 e il 2008, prima dal gruppo consiliare dei Ds e da quello del Pd. Al Pm spiegò di aver percorso 72mila chilometri a bordo della sua Peugeot 407, con una media di 24mila all’anno per “tragitti fatti prevalentemente nel fine settimana“. Era la XIII legislatura.
Il pm Cocco è tornato sui rimborsi benzina perché nell’ultima memoria depositata in Procura lo scorso 21 novembre, l’avvocato della Barracciu, Franco Luigi Satta, ha scritto che quei 72mila chilometri devono essere considerati “giustificazioni virtuali”. Il Pm ha detto in aula: “La difesa ha introdotto un tema sovversivo impiegando tre anni, otto mesi e una settimana per sostenere, da un lato, l’effettività del denaro preso da Francesca Barracciu, come lei stessa ha confermato nell’interrogatorio di dicembre 2013, e per rappresentare dall’altro le giustificazioni virtuali. Nel frattempo vi sono stati la comunicazione di chiusura indagini, l’udienza preliminare e il dibattimento, nel quale l’imputata si è avvalsa della facoltà di non rispondere alle domande dell’accusa. Ne ha pieno diritto, ma resta da capire “quale della due versioni sia la più attendibile”. Per la Procura, la storia dei 72mila chilometri “non lo è per quattro ragioni”.
Su tutto il pubblico ministero ha sottolineato che nella memoria di dicembre 2013 “sono state rilevate presunte incongruenze in quindici occasioni”. Si ricordi, ad esempio, l’acquisto con carta di credito fatto dalla Barracciu a Vienna nello stesso giorno in cui l’ex sottosegretaria diceva, attraverso la difesa chilometrica, di essere in giro per la Sardegna. E a proposito dei 72mila chilometri percorsi in macchina sino a fondere il motore della propria station wagon, come la Barracciu spiegò in una conferenza stampa convocata due giorni dopo l’interrogatorio di dicembre 2013, al Pm risulta un conto diverso: “Applicando le tabelle Aci ai 65.597 chilometri contenuti nella memoria, si avrebbe diritto a un rimborso di 31.007 euro, non di 33mila”.
A dicembre 2013 la Barracciu era difesa dagli avvocati Carlo Federico Grosso e Giuseppe Macciotta e con loro si presentò in Procura per difendersi dall’accusa di peculato. Fu quasi una corsa contro il tempo, visto che l’esponente dem era allora la candidata del centrosinistra alle Regionali di febbraio 2014 e alcuni partiti della coalizione avevano già sollevato la questione morale chiedendo un suo passo indietro (arriverà, in maniera drammatica, il 30 dicembre 2013).
Il magistrato inquirente ha sottolineato ancora: “Sia nell’interrogatorio del 5 dicembre 2013 che nel secondo del 24 marzo 2014, per la difesa non esistevano zone d’ombra nell’accusa”. In quel momento, rivolgendosi al suo legale e in riferimento a Grosso e a Macciotta, l’ex sottosegretaria ha detto a voce bassa: “E infatti li abbiamo cambiati”. Il pm Cocco ha proseguito: “Quelle che la difesa chiama giustificazioni virtuali paiono ricostruzioni a tavolino”. Quindi il pubblico ministero ha citato tre sentenze della Cassazione per dimostrare la validità dell’accusa contro la Barracciu, specie nella parte in cui il magistrato inquirente contesta la mancata presentazione delle pezze giustificative a supporto delle somme ricevute dal gruppo consiliare. Nel primo dispositivo i giudici parlano di “precondizioni di leicità nell’utilizzo dei fondi pubblici”, con l’obbligo della rendicontazione e la conservazione dei documenti. Nella seconda sentenza il reato di appropriazione indebita (da cui il peculato) si configura “sul piano probatorio anche attraverso l’assoluta mancanza delle allegazioni”. Nel terzo dispositivo della Cassazione viene considera una responsabilità penale “l’assenza di tracciabilità delle spese” fatte sempre con denari pubblici. E per i quali “non è consentito il rimborso forfettario”, a differenza di come Grosso e Macciotta definirono i 33mila euro presi dalla Barracciu tra il 2006 e il 2008.
L’ex sottosegretaria è a processo per una somma di 77.293,65 euro. Risultano così divisi: 33.085,14 euro di rimborsi benzina e altri 44.208,51 euro, in cui sono compresi i 3.600 che, attraverso l’intermediazione della Barracciu, il gruppo Pd avrebbe versato a sua volta nelle casse di Envolvere, società riconducibile a Mario Argentero, compagno delll’ex consigliera regionale. Il fatto emerse nell’interrogatorio di marzo 2014, di cui il Pm ha letto un passaggio. Ciò valse la decisione della Procura di stralciare la posizione dell’ex consigliera regionale dal resto dell’indagine che mise sotto accusa quasi l’intero gruppo del Pd sardo della legislatura.
Alessandra Carta
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