Il Tribunale di Cagliari ha dichiarato fallita la Sitas, la Società iniziative turistiche agricole sarde che dietro la spiaggia di Tuerredda, a Capo Malfatano nel Comune di Teulada, avrebbe voluto costruire un mega resort da 900mila metri cubi. I volumi, al centro di una battaglia che ha mobilitato per anni gli ambientalisti, sono stati in parte allineati con la costruzione di un hotel di lusso, comunque mai aperto, mentre le ville e numerosi altri edifici, l’altra metà del progetto, non hanno mai preso forma. La Sitas raccoglieva una cordata di imprenditori, a cominciare da Silvano Toti entrato in società insieme al gruppo Benetton e alla Sansedoni, costola del Montepaschi Siena. Il piano industriale prevedeva, una volta ultimato l’investimento, di affidare la struttura alla Mita Resort della famiglia Marcegaglia, la stessa che non ha mai fatto decollare l‘ex Arsenale di La Maddalena.
A dichiarare chiusa la procedura liquidatoria della Sitas è stata la Sezione fallimentare presieduta da Ignazio Tamponi che in composizione collegiale con Enzo Luchi e Andrea Bernardino ha indicato quest’ultimo come giudice delegato. Per il 3 dicembre prossimo è stata fissata “l’adunanza di credito per l’esame dello stato passivo” della spa. Il curatore nominato è Edoardo Sanna.
A presentare la richiesta di fallimento erano stati Ovidio Marras, il pastore che rinunciò a 12 milioni di euro pur di non cedere alla Sitas i propri terreni, e un altro creditore, Giuseppe Mocci. Nella sentenza, la numero 107 pubblicata il 6 agosto, scorso, viene certificato al comma B che “le cosiddette soglie dimensionali sono ampiamente superate. Dall’ultimo bilancio depositato al Registro imprese – è scritto – risultano debiti per 71.146.601 euro”, di cui “oltre 30mila scaduti o non pagati”. Il solo credito del ricorrente Marras “è pari a 87.426,31 euro in linea capitale”. Dalla sentenza si ricava pure il deficit patrimoniale, a quota 73.110.385 euro. Dalle memorie presentate alla Sezione fallimentare risulta infine che la stessa Sitas ha dichiarato che “non vi erano le condizioni per proseguire l’attività sociale”.
La Sitas era nata col solo scopo immobiliare. I terreni interessati all’investimento mancato si estendono su 400 ettari. Come raccontato nel 2016 a Sardinia Post da Filippo Satta, il legale che ha vinto in Cassazione per contro di Italia (Satta è figlio del giurista e scrittore nuorese Salvatore), la Sitas presentò il progetto al Comune di Teulada dividendolo in circa trecento pratiche, secondo un frazionamento che, per sua natura, permetteva di aggirare la richiesta di valutazione di impatto ambientale (Via).
Ai primi del 2000 fu la Sovrintendenza ad accorgersi che si trattava di un unico intervento: da lì una procedura di accorpamento, in cinque maxi tronconi, la cui procedura autorizzativa è stata ritenuta illegittima dal Tar prima e dal Consiglio di Stato poi, sino all’ultimo passaggio in Cassazione. E in tutti i gradi di giudizio è emersa illegittimità delle concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Teulada a causa dell’assenza della Via. Di fatto le costruzioni finora realizzate non sono più coperte da alcuna autorizzazione amministrativa. Va precisato che il Municipio rilasciò a Sitas le concessioni ‘semplici’ dietro l’avallo della Regione he per questo è stata citata a giudizio dalla società con richiesta di risarcimento danni.
Al momento non è dato sapere se il fallimento della Sitas equivalga al definitivo tramonto del progetto. Sulla carta il mega investimento non può dirsi affossato, malgrado tutto: dal 2016, sempre in Regione, è aperta una procedura di scoping, cioè un atto amministrativo che per legge precede la richiesta di valutazione di impatto ambientale (qui la delibera). In caso di accoglimento, nulla impedisce che un nuovo investitore vada avanti col cemento a Capo Malfatano.