Mario Tozzi, geologo del Cnr, noto al grande pubblico come autore e conduttore di trasmissioni scientifiche di successo (“Gaia, il pianeta che vive”, “La Gaia Scienza”, “Atlantide”) conosce bene la Sardegna, la frequenta da anni come geologo e autore televisivo. È anche diventato cittadino onorario di Guspini ed è molto orgoglioso di aver ricevuto in dono un coltello “dalla parte del manico”. Al Festival AlberiLibri di Villaverde ha presentato il suo ultimo libro, “Pianeta Terra, ultimo atto. Perché saranno gli uomini a distruggere il mondo” (Rizzoli). L’abbiamo incontrato per una lunga conversazione-intervista sulla Sardegna. A proposito della quale Tozzi ha sentimenti molto vicini a quelli “isolani”: amore e rabbia per le tante occasioni perdute. A partire dal mancato utilizzo del mito di Atlantide.
Lei è stato tante volte da noi, ma mai in vacanza. Sempre per lavoro…
“Certo. Sono un geologo e la vostra terra è straordinaria da questo punto di vista geologico. È la terra delle rocce più antiche del nostro paese. Ci sono dei posti come Goni, dove ci sono i fossili più antichi che si registrino in Italia: le captoliti. A Pau, c’è l’ossidiana. Il Parco Geominerario, del Sulcis Iglesiente, poi, con le sue difficoltà. Della Sardegna mi interessano le storie antiche, le Domus de Janas, le case delle fate, i culti ancestrali, la radice magica degli uomini, i Mamuthones, la Pasqua di Alghero. L’idea in particolare che la Sardegna fosse Atlantide: ho collaborato molto con Sergio Frau. Devo dire che in Sardegna l’ultima cosa che viene è il mare, che pure è fantastico…”
In Sardegna sono state fatte importanti scoperte, da poco lo studio sul cromosoma Y che la evidenzia come il luogo delle emigrazioni più antiche d’Europa. A Fiumesanto, nel 1994, è stato rinvenuto il fossile di una protoscimmia datata circa 8 milioni di anni fa, la quale si colloca come l’esemplare più antico scoperto al mondo molto utile per gli studi dell’evoluzione dell’uomo. Ne ha dato per primo notizia il professor Sergio Ginesu dell’Università di Sassari, sulla rivista ‘Accademia di Francia’.
“Certo, questi ultimi sarebbero gli esemplari più antichi di cui si ha conoscenza oggi. In genere facciamo risalire le protoscimmie intorno a 5-6 milioni di anni fa. E la Sardegna ha avuto delle evidenze più antiche, da seguire con attenzione…”
Che cosa si dovrebbe fare in particolare per valorizzare o recuperare questo patrimonio?
“Studiarlo, in primo luogo. Per conoscerlo. Oggi ci sono delle maniere di tutelare queste scoperte che consentono anche di vederle durante il processo di tutela. I parchi geologici, per esempio, o geositi, anche piccoli, sono ottimi per questo tipo di situazioni…
Lei sa che la Sardegna è anche la regione più inquinata d’Italia, con i suoi 445 mila ettari di siti industriali di interesse nazionale per bonifica…
“Sì, perché la Sardegna è stata sempre considerata una terra di conquista. Qui si mettevano gli impianti industriali che sporcavano di più. Non si faceva innovazione, si teneva il territorio depresso. Di fatto è stata una volontà nazionale. Ora che però la coscienza popolare è cresciuta, nessuno vuole più questi ‘oggetti’ sul suo territorio, e quindi vengono fuori queste storture. Ma questo vale un po’ per tutta l’Italia. La bonifica è molto costosa, per questo è difficile metterla in pratica”.
Potrebbe la bonifica creare posti di lavoro?
“Potrebbe creare posti di lavoro se ci si impegnasse in questo circolo virtuoso. Ma purtroppo anche le ditte che hanno operato in Sardegna, e ovunque in Italia, non hanno aderito al principio che ‘chi inquina paga’. Principio che non si fa rispettare. Lo si vede per esempio nel caso dell’Ilva di Taranto. Questo non è più tollerabile. In Sardegna la situazione è un po’ più complessa, perché oltre al polo tradizionale di Porto Torres o della Saras (con le sue diramazioni) il territorio è stato anche utilizzato in maniera impropria. Così come è successo in Campania, con gli interramenti di materiali nocivi. Nel 2003 la Sardegna doveva addirittura diventare il deposito delle scorie radioattive. Ricordo la protesta fatta a Roma dove ho solidarizzato coi sardi. Lì ci siamo sdraiati per strada per bloccare il lungo Tevere. Al tempo documentavo la protesta per il programma di Fabio Fazio. Fu molto efficace. Ma credo che ancora oggi si possa fare qualche cosa”.
Come si inquadra, allora, questo aspetto con il discorso energetico del futuro? In quale direzione si potrebbe andare secondo Lei?
“Credo che la Sardegna si possa permettere il cambio di passo. La tutela e la conservazione del territorio è per voi l’unica occasione di sviluppo. Fa ridere ora che si venga a parlare di sviluppo industriale nell’Italia centro meridionale. Perché noi non abbiamo quella vocazione. La tradizione agricolo-pastorale sarda, invece, è produttiva da sempre: fin da oggi oggi. A Villasor, per esempio, è nata la più grande serra fotovoltaica del mondo. Hanno investito indiani, sardi e americani (la General Elettrics, che non investiva più in Italia da cinquant’anni). Lo fanno senza consumare territorio vergine. Sotto quei pannelli, infatti, c’è la produzione di serra. E il guadagno lo fanno sui prodotti a chilometro-zero, venduti lì grazie al fatto che sono più competitivi per il tipo di energia impiegata. In più si fanno lavorare le persone. Se le aziende agricole e pastorali si accoppiano alle energie rinnovabili qui trovano un’altra ragione d’essere. Si può reinventare un modello antichissimo del terzo millennio. E se non lo fa la Sardegna, questo, chi lo deve fare? Questo è il futuro della Sardegna, non può essere un altro”.
Esistono anche altre carte da giocare?
“Questa regione ha delle potenzialità turistiche che non esistono da nessun’altra parte. Da tutta Europa si guarda alla Sardegna in tal senso. Ho ben presente la magia di questi posti dell’interno del Monte Arci, il Monte Arcosu, in cui esiste una storia di nuraghi importantissima. Per non parlare della identità barbaricina. Ciascuna delle grandi regioni storiche sarde ha il valore di una regione italiana, basta pensare all’Ogliastra che ha qualsiasi cosa: dal mare alla montagna. La Sardegna potrebbe rendersi autonoma energeticamente, se solo le grandi potenzialità di rinnovabili qui fossero accoppiate ad un sistema di ri-coibentazione delle abitazioni, in una società che ancora per molti versi è rurale. Ciò porterebbe alla quasi totale indipendenza energetica. Non c’è certo bisogno di andare a cercare il gas o il carbone nel sottosuolo, che francamente sembra una scelta di retroguardia da abbandonare. Ciò dipende dalle decisioni regionali. Certo se poi il risultato è seppellire Tuvixeddu sotto i palazzi, diventa tutto complicato”.
Cosa suggerisce allora?
“Se fossero stati un po’ più furbi certi sardi della soprintendenza la storia di Atlantide se la sarebbero venduta già da tempo. Ed io sarei orgoglioso – da sardo vero – di pensare che la mia isola potesse davvero essere Atlantide”.
Davide Fara