La Germania blocca l’invio di armamenti all’Arabia Saudita, ma le bombe italo-tedesche della società Rwm Italia Spa – braccia a Domusnovas e mente in Bassa Sassonia – raggiungono comunque Ryad, come dimostrano i carichi partiti dall’Isola tra maggio e novembre. Stando al quotidiano tedesco Bild – Zeitung, “lo stop di Berlino sarebbe arrivato già lo scorso gennaio, in seguito alle proteste di molti politici che accusavano l’Arabia Saudita di sostenere l’Isis”.
In quel caso, il Consiglio di sicurezza tedesco bloccò una commessa da 360 milioni di euro per la vendita di 200 carri armati Leopard. Il no d’inizio anno non ha comunque impedito alla Germania di inviare alla monarchia saudita munizioni e componentistica per un valore di 16 milioni di euro tra febbraio e marzo. Nè ha influenzato le esportazioni della Rwm Italia spa, società appartenente al colosso tedesco degli armamenti Rheinmetall, puntualmente autorizzate dal governo italiano. Come evidenziato dal report dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal), tra il 2012 e il 2014, la Rwm ha esportato bombe in mezzo mondo, per un valore complessivo di oltre 100 milioni. A questi armamenti vanno poi aggiunte le bombe partite da Elmas e Olbia negli ultimi mesi.
Intanto, il senatore M5s Roberto Cotti ha depositato a Palazzo Madama una nuova interrogazione sulla vicenda. Il documento segna anche un nuovo atto della querelle che oppone il parlamentare sardo al ministro della Difesa Roberta Pinotti, secondo la quale “le armi in questione non sono italiane e sono comunque vendute regolarmente all’Arabia Saudita”. A tal proposito, Cotti rivela che il ricercatore di Human Rights Watch Ole Solvang ha fotografato resti di ordigni Rwm utilizzati nello Yemen dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, riconducibili alla produzione sarda di Domusnovas in ragione delle sigle identificative riportate sugli stessi armamenti. E ribadisce che “non si può autorizzare la vendita di forniture militari a un paese belligerante, implicato per di più nelle violazioni dei diritti umani che si consumano nello Yemen”. Qui, il conflitto che oppone l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, il Sudan, il Kuwait, il Bahrein, l’Egitto e il Marocco agli sciiti Houti ha già provocato oltre 6 mila morti, metà dei quali civili, 25 mila feriti, un milione di sfollati, 21 milioni di persone che per sopravvivere hanno bisogno urgente aiuti umanitari.
Insomma, una situazione infernale che lo scorso 16 novembre ha portato il Consiglio europeo ad esprimere gravi preoccupazioni per ciò che sta accadendo in Yemen, in particolare per gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, come strutture sanitarie, scuole e impianti idrici.
“I bombardamenti della coalizione non hanno l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, scrive poi Cotti sempre in risposta alla Pinotti, che di recente ha sostenuto la tesi contraria, riferendosi al via libera dell’Onu ai bombardamenti nello Yemen della coalizione a guida saudita. Finora, l’Onu è intervenuto sul conflitto nell’estremo sud della penisola arabica lo scorso 14 aprile, ma per imporre l’embargo sulle armi agli sciiti Houti, controparte della coalizione. E con la richiesta di attivazione dei colloqui di pace lo scorso ottobre.
Infine, conclude Cotti, “sebbene quell’operazione militare dell’Arabia Saudita nello Yemen sia stata ufficialmente varata per contrastare Al Quaeda e Isis , il Consiglio europeo ha evidenziato come la situazione di instabilità viene sfruttata a proprio vantaggio da gruppi estremisti e terroristici, quali Al-Qaeda nella Penisola arabica (AQAP) e Daesh nello Yemen”. “E sono ormai all’ordine del giorno le notizie che parlano di finanziamenti destinati ai fautori del cosiddetto Stato Islamico provenienti da stati formalmente amici o alleati”, come l’Arabia Saudita. Ragion per cui il senatore chiede al ministro di “fermare l’export di armi verso gli stati della coalizione che bombarda lo Yemen”.
P.L.
Foto: bomba MK83 ritrovata nei pressi di un edificio di Sa’dah, Yemen, con codice identificativo della RWM Italia
(Ole Solvang/Human Rights Watch)