Trenta ragazzi sardi “manovali” con 110 e lode

Trenta giovani sardi saranno presto al lavoro insieme a cinquecento laureati di tutta Italia per un progetto di catalogazione sul nostro patrimonio culturale: la notizia, pubblicata ieri dal sito del Ministero per i Beni Culturali, rientra nelle azioni previste dalla legge 112/2013 “Disposizioni urgenti per la tutela, valorizzazione e rilancio dei beni, attività culturali e turismo” . E  non è certo passata inosservata, con i suoi 2,5 milioni di euro da investire nel 2014, considerando il desolante panorama della cultura e le scarse prospettive di lavoro per i giovani che scelgono studi umanistici.

Un barlume di speranza per chi sogna un impiego in campo artistico, storico o archeologico. Eppure il bando ha già sollevato non poche polemiche: i “fortunati” che passeranno la selezione iniziale saranno impegnati 12 mesi per 30 ore settimanali, zero ferie, retribuzione decurtata in caso di assenze non giustificate. E una “indennità di partecipazione” calcolata in 5mila euro lordi per l’intero anno, a cui vanno sottratte tasse e assicurazione.

Ottima possibilità di formarsi nei luoghi della cultura con la supervisione del Ministero, o vero e proprio sfruttamento di manovalanza per trecento euro al mese? Il dubbio è spontaneo, considerato che si accede alla selezione solo con voto di laurea non inferiore a 110/110 o qualifica di archivistica con voto non inferiore a 150/150: in pratica il progetto di “formazione” è riservato solo a studenti modello che verosimilmente hanno già svolto tirocinii o stage con l’università o le scuole di archivistica. Per chi ha già i titoli giusti per accedere a un lavoro è proprio necessario un impegno formativo così pesante?

“Questo bando è l’ennesima dimostrazione del valore che viene attribuito in Italia alla Cultura e agli esperti del settore: un vero e proprio sfruttamento mascherato in percorso formativo” sostiene Roberta Marras, cagliaritana di 32 anni. “L’indennità di partecipazione poi è una cifra vergognosa che non copre neppure le spese. Perché a questo punto non fare un concorso per assumere  cento persone, piuttosto che sfruttarne cinquecento?” Molti dubbi anche sui criteri di selezione: ai posti riservati all’area umanistica possono accedere laureati in giurisprudenza, geografia, scienze politiche: “A questo punto mi chiedo a cosa sia servita la mia laurea in storia dell’arte con successivo tirocinio e specialistica – prosegue Roberta Marras – i miei titoli o quelli di un archivista dovrebbero essere già sufficienti per ottenere un lavoro in quel settore, perché per inventariare e digitalizzare il patrimonio culturale devo competere con persone che  non hanno mai sostenuto neppure un esame di storia dell’arte o archivistica?”

Daniele Mulas, 24 anni, riconosce l’utilità della formazione e dell’esperienza, ma a patto che serva realmente per un impiego futuro: “Ho avuto qualche nozione di digitalizzazione di beni culturali all’interno del mio tirocinio formativo e sicuramente un programma di formazione sarebbe utile, ma con questo bando si ha l’impressione che si spacci per formazione un lavoro sottopagato per un anno, dopo il quale non c’è nessuna speranza di assunzione”. E in effetti al termine dei dodici mesi il Ministero rilascia un “attestato di partecipazione che non comporta alcun obbligo di assunzione”, come si precisa nell’avviso.

Stessa opinione anche per Fabio Soru, 34 anni: dopo aver studiato beni culturali oggi si occupa di altro perché “Il settore della cultura non è serio né remunerativo. La mia opinione su questo bando? Se fosse stato realmente un progetto formativo sarebbe dovuto essere più limitato, di 3 o 6 mesi, avrebbero dovuto precisare meglio gli obiettivi della formazione, come sarebbe stato strutturato e quali competenze finali sarebbero state acquisite. Il numero di soggetti selezionabili, la durata eccessiva e l’incertezza di quali luoghi della cultura nei quali si farà la “formazione” porta ovviamente a credere che stiano camuffando la vera e propria manovalanza a basso costo con la finta di un progetto di formazione. Ma la disperazione, soprattutto fra i laureati in BBCC che di fatto non hanno nessuna professione in mano, è tale che ci sarà la solita guerra fra poveri per accontentarsi delle briciole”.

Francesca Mulas

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