Ernesto Diotallevi, storico boss della famigerata “banda della Magliana”, è solo l’ultimo di una lunga serie. In mezzo ci sono mafia, camorra, ‘ndrangheta, organizzazioni criminali pronte a ripulire il denaro sporco reinvestendolo in immobili. Ma quello di Diotallevi è un nome che conta nel “romanzo criminale” italiano: faccendiere con legami con gli ambienti di estrema destra, di fatto era il cassiere della banda della Magliana. Il nome di Diotallevi era già stato legato a Olbia: si parla dell’inchiesta dei primi anni ’80 in cui il suo nome era stato accostato a quello di Pippo Calò, il “cassiere” di Cosa Nostra, ma soprattutto a Flavio Carboni e l’allora giovane imprenditore Silvio Berlusconi nel progetto Olbia 2, che prevedeva l’edificazione di un complesso turistico, con porto annesso, su 685 ettari di terreno nella zona dell’aeroporto.
Appartamenti e un complesso turistico intestati a una società immobiliare di Rimini: valore di due milioni e mezzo di euro
Ieri i carabinieri del Ros di Roma hanno proceduto al sequestro di 35 appartamenti a Olbia: si tratta di complessi immobiliari che si trovano nella parte alta di viale Aldo Moro, intorno alla zona di Sa Minda Noa, nelle vie Bonn, Bruxelles, Menotti e Chiesa. Si parla anche di un complesso turistico nella zona costiera, fronte mare, tra Olbia e Golfo Aranci. Il valore complessivo dei beni immobili posti sotto sequestro dai militari e dalla Guardia di Finanza viene stimato in due milioni e mezzo di euro. Secondo prassi consolidata i beni erano intestati a prestanome: nella fattispecie i beni acquistati ad Olbia fanno capo ad una società immobiliare con sede a Rimini. Sarà forse la vicinanza fisica e, nella vulgata popolare la stessa assimilazione, al mondo dorato (e lucroso) della Costa Smeralda. Sarà una certa deregulation amministrativa in una città cresciuta negli ultimi 20 anni in maniera tumultuosa e, appunto, senza regole. Fatto sta che non è la prima volta che Olbia e dintorni passano agli onori della cronaca come luogo eletto di investimenti di denaro illecito.
L’inchiesta Dirty Money e le mani della ‘ndrangheta sulla città
Premessa: l’inchiesta Dirty Money non ha portato ad alcuna condanna in via definitiva. Molti avvisi di garanzia, qualcuno è pure finito in cella con l’applicazione di misure di carcerazione preventiva, ma in sostanza possiamo dire che il tutto si è risolto (per il momento) in una bolla mediatica. Sotto però qualcosa c’era: di certo uno spaccato di Olbia che la rappresentava, cosa confermata successivamente, come crocevia sardo per l’investimento di denaro sporco. Nel marzo del 2008 esplose la bomba. L’inchiesta Dirty Money venne portata avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Milano. Al centro delle indagini del pm Mario Venditti c’era la possibilità di infiltrazioni di capitali della ’ndrangheta in città. Terreni comprati da società legate alla organizzazione malavitosa e riciclaggio di denaro di provenienza illecita. L’inchiesta portò in carcere nove persone. Tra queste il finanziere svizzero con casa a Pittulongu, Salvatore Paulangelo, 44 anni. Personaggio chiave dell’inchiesta, come altri protagonsiti di questa indagine. Tra tutti l’avvocato milanese Giuseppe Melzi, 66 anni, ex difensore dei piccoli risparmiatori nel crac del Banco Ambrosiano e finito al centro dell’inchiesta. Come il suo assistito Giovanni Antonio Pitta, patron del Tavolara calcio e indagato. L’organizzazione criminale avrebbe individuato, secondo le accuse, i canali attraverso cui far arrivare nell’isola milioni di euro. Il tramite era il finanziere italo-svizzero Salvatore Paulangelo, uno dei titolari della finanziaria elvetica Wsf/Pp dentro le cui casse, attraverso operazioni off-shore, sarebbero stati “puliti” i soldi della ’ndrangheta.
La camorra entra ad Olbia con il traffico di droga
Anche la camorra ha individuato Olbia come luogo favorevole per i propri investimenti, che sono collegati soprattutto al traffico di sostanze stupefacenti. Prima alcuni segnali: come l’arresto nel marzo del 2010 di Carmine Zagaria, 42 anni, fratello del superlatitante Michele, uno degli ultimi padrini dei Casalesi ancora in libertà. Ufficialmente l’imprenditore doveva raggiungere Nuoro per fare visita, nel carcere di Badu ’e Carros, al fratello Pasquale Zagaria, conosciuto con il soprannome di “Bin Laden”, un appellativo dovuto alla sua specialità nello scomparire nel nulla, almeno fino a qualche anno fa, quando era stato arrestato. Ma le indagini avevano fatto emergere possibili interessi dei Zagaria nel traffico di droga proprio con base nel capoluogo gallurese. Poi l’estate scorsa l’arresto di alcuni affiliati alla banda di trafficanti di droga capeggiata da “Peppe o’ Struscio”, un boss della camorra di Torre del Greco, nel corso di una operazione anticrimine condotta dagli uomini del commissariato di polizia di Torre del Greco. In cella i due presunti capi del Falanga, i nipoti del vecchio “Peppe o’Struscio” Marco Palomba e Domenico Falanga, quest’ultimo arrestato a Olbia, dove abitata da alcuni anni e, ufficialmente, gestiva un laboratorio di cartongesso. , provvedimento restrittivo firmato dal gip di Napoli. Tutti gli arrestati erano stati accusati di associazione a delinquere peraver costitutito e promosso un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti (hashish, marjuana e cocaina).
Marco Palomba e Domenico Falanga, nipoti ed eredi (dopo la defezione di alcuni pentiti) del capo clan Giuseppe Falanga, erano stati ritenuti gli organizzatori e promotori del traffico di sostanze stupefacenti che interessava diverse regioni italiane, Sardegna compresa.
La mafia punta gli investimenti su Olbia: sigilli a un bar del clan dei D’Agosta
L’ultima in ordine di tempo è stata la presunta cosca mafiosa dei D’Agosta, arrivata in Gallura qualche anno fa e scoperta nel luglio dell’anno scorso. Al centro dell’inchiesta della Dda che riguarda il clan siciliano c’era l’intestazione fraudolenta di beni per un valore di 5 milioni di euro. Beni per i quali era scattato il sequestro delle quote societarie, per passare poi al sequestro dei beni con l’apposizione dei sigilli. Tra le proprietà coinvolte anche il Babilonia Cafè, nel centro storico di Olbia, nella parte bassa di Corso Umberto. Che qualcosa fosse fuori posto era saltato all’occhio anche dei più disattenti. Un locale enorme su quattro vetrine che, per la maggior parte del tempo, registrava pochi clienti. Il conto economico era infatti, diciamo così, un optional. Il vero affare era stato l’acquisto, con soldi di presunta provenienza criminale.
Giandomenico Mele