Quarant’anni dopo la sensazionale scoperta delle grandi statue di arcieri, pugilatori e guerrieri nella collina di Mont’e Prama tutto il mondo parla di Sardegna: non si contano più gli articoli apparsi sul web, il quotidiano inglese The Guardian racconta di “alcune delle statue più misteriose dell’antichità”, tutta la stampa nazionale ha seguito il “ritorno a casa” dei giganti ormai diventati vere e proprie star dell’archeologia. Un successo strepitoso, celebrato sabato 22 e domenica 23 marzo da ore di fila davanti al Museo Archeologico di Cagliari e al Civico di Cabras dove migliaia di persone hanno potuto ammirare le statue in tutto il loro (restaurato) splendore.
E mentre regione, comuni, uffici della soprintendenza e musei condividono la bibliografia ufficiale sull’argomento, si riaccende il dibattito attorno all’origine delle statue. Dopo lo scherzetto del primo aprile (con un blog ripreso da autorevoli studiosi che metteva in dubbio l’autenticità delle sculture), si torna a parlare del perché e per come qualcuno avesse posizionato i manufatti proprio in quel punto della collinetta nelle campagne di Cabras.
Secondo la versione di chi ha scavato l’area, ha studiato i frammenti e analizzato contesto storico e culturale, i Giganti sarebbero statue-eroi scolpiti nell’arenaria come custodi monumentali di una necropoli nuragica. E’ l’interpretazione accettata in quasi tutto il mondo dell’archeologia “ufficiale”. Ma le opinioni diverse, alcune estremamente ardite, sono tante.
“Non sono statue nell’accezione classica del termine ma qualcosa di ben diverso: potrebbero essere telamoni o atlanti, cioè sostegni per l’architrave di una struttura architettonica monumentale” – sostiene Paolo Littarru, ingegnere, appassionato di archeologia e presidente dell’associazione Agorà Nuragica.
La teoria che parla di un grande tempio a Mont’e Prama non è del tutto nuova e proposta già dall’architetto veneto Franco Laner, docente ordinario di tecnologia dell’architettura allo IUAV di Venezia e autore di pubblicazioni sull’architettura nuragica. “Non possono essere statue semplicemente perché non starebbero in piedi da sole, isolate. Una qualsiasi spinta le ribalterebbe facilmente. Perché sono giganti? Semplice – conclude Littarru – se fossero più bassi non si passerebbe sotto l’architrave del tempio”.
Sulla stessa linea anche Gigi Sanna, studioso di scrittura nuragica e candidato presidente alle ultime elezioni regionali con la lista “Zona Franca”: le statue facevano parte di un grande santuario andato perduto a cui appartenevano anche i frammenti di colonna, gli stessi che gli archeologi invece interpretano come modellini di nuraghe.
Ipotesi che potranno avere delle risposte quando sarà finalmente avviato, dopo 35 anni dalle ultime indagini, un nuovo scavo archeologico nella collina: i finanziamenti ci sono, si attende solo che l’iter burocratico della Soprintendenza faccia il suo corso.
Per ora comunque pare si possano accantonare con una certa serenità le teorie riportate da “Cieli Paralleli”, portale di notizie misteriose: “Le statue stupiscono perché hanno l’aspetto di robot, la la foto mostra un dispositivo moderno indossato però da un personaggio millenario fuori tempo assomigliante ad un automa. Le statue del Sinis ritrovate presentano teste con grandi orbite oculari perfettamente tondeggianti facenti pensare ad automi, privi di personalità trasparente. Il pettorale evidenziato sul tronco di una statua potrebbe essere una batteria a carica solare. Chi furono i committenti di quei bambolotti accessoriati in pietrà trovati abbandonati e chissà da dove spostati e spezzati? Come si fa a non pensare ai dodici venusiani?”.
Francesca Mulas