“Se i Sardi fossero stati più furbi si sarebbero venduti la storia di Atlantide”. Questo il suggerimento di Mario Tozzi rivolto agli isolani nell’intervista rilasciata ieri a Sardinia Post (leggi): secondo il geologo del Cnr e conduttore tv. il mito di Atlantide potrebbe essere una soluzione per l’economia del turismo sardo. Parole poco gradite alla comunità scientifica isolana.
Della questione si parlò ampiamente nove anni or sono, quando fu dato alle stampe il volume “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta” del giornalista Sergio Frau: 672 pagine edite da Nurneon per sostenere che le Colonne d’Ercole, antico limite del mondo conosciuto, non stavano nello stretto di Gibilterra ma un po’ più in qua, tra Sicilia e Tunisia. E cosa c’era dopo le colonne d’Ercole, secondo il greco Platone? Atlantide, terra ricchissima e potente, distrutta però in un giorno e una notte dalla furia di Poseidone. E la più grande isola dopo la Sicilia non è forse la Sardegna? La nostra terra dunque sarebbe stata Atlantide e avrebbe dominato il Mediterraneo fino al giorno del disastro: un terribile maremoto ad annientare popoli, torri e santuari della civiltà nuragica. Uno tsunami, dunque. Per i popoli nuragici, ma soprattutto per studiosi, Università e Soprintendenze che a quel punto avrebbero dovuto riscrivere l’immagine e i contorni della Sardegna antica.
Quando “Le colonne d’Ercole” arrivò in libreria si sollevò un coro di approvazione con tante firme illustri: da Luciano Canfora ad Andrea Carandini. La discussione fu accolta con entusiasmo anche dall‘Unesco e ospitata niente meno che all’Accademia dei Lincei. Per contro, in Sardegna fu accompagnata da un dibattito molto acceso che produsse un documento – “Sardegna = Atlantide? No grazie!” – sottoscritto da trecento studiosi italiani e stranieri: l’isola non è Atlantide, le teorie di Frau definite “fantasiose”, “mito parascientifico infondato”, e sarebbe “eticamente intollerabile” diffonderle come verità.
Trecento archeologi, linguisti, antropologi e storici tutti concordi nel rigettare la proposta, l’isola felice di cui parla Platone è solo un mito e non ci sono prove che la Sardegna sia mai stata devastata da un maremoto: “Nessuno degli studiosi firmatari del presente appello crede che la Sardegna sia stata isolata, arretrata e ignorata, ma nemmeno accetta l’insostenibile slogan di una Sardegna origine e fine di tutte le civiltà mediterranee o approva il tentativo di rinchiudere nell’ennesimo mito parascientifico, pur se fascinosissimo e “redditizio” in termini di interesse mediatico, le sue millenarie vicende”, si legge nel documento divulgato nel 2006.
Ecco quindi il fastidio per il suggerimento di Mario Tozzi che oggi invita gli isolani alla furbizia e a sfruttare la “storia di Atlantide” come banale prodotto di marketing turistico: “Sono semplicemente sconcertato” commenta Alessandro Usai, archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano, “Tozzi tira fuori questo vecchiume ammuffito dopo nove anni dal documento che abbiamo firmato in trecento? Da sardo vero rispondo che noi Sardi non dobbiamo essere né orgogliosi né delusi dalla nostra storia; dobbiamo semplicemente conoscere in modo approfondito e scientifico il nostro passato per costruire noi il nostro posto nel mondo, senza aspettare che gli altri ce lo diano come compenso tardivo dei torti che ci hanno fatto. Dobbiamo smetterla” conclude Usai, “di recriminare e rivendicare e iniziare a competere. Il passato non è un vanto ma una responsabilità. E io sono orgoglioso di non essere furbo e di non vendere niente”.
Sulla stessa linea Carlo Luglié, ricercatore di Preistoria e Protostoria per l’Università di Cagliari e direttore del Museo dell’Ossidiana di Pau: “Credo che la “furbizia” non debba essere contemplata tra gli strumenti canonici della ricerca scientifica. In relazione poi all’orgoglio di essere Sardi, Italiani, Boscimani o altro, nel mio caso di ricercatore esso scaturisce non dalla possibilità di identificare la mia terra natìa con quella indicata in questo o quel mito, quanto piuttosto dal possedere della sua storia una conoscenza scientificamente fondata e validata; ciò anche nel caso in cui la posizione storica di questa terra dovesse risultasse marginale o del tutto assente rispetto ad una qualsivoglia tradizione mitologica”.
L’invito alla “furbizia”, insomma, per ora è rispedito al mittente.
Francesca Mulas