Parziale dissequestro del bacino dei fanghi rossi e richiesta di rinvio a giudizio per Vincenzo Rosino, amministratore delegato dell‘Eurallumina, e Nicola Candeloro, direttore dello stabilimento, entrambi accusati di “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi”.
Sono queste – riferisce l’Unione sarda – le decisioni del pubblico ministero Marco Cocco, titolare dell’inchiesta che nel settembre 2009 portò al sequestro del bacino che raccoglie i residui della lavorazione della bauxite effettuata dall’Eurallumina. In tutto, 180 ettari di discarica a cielo aperto per circa 20 milioni di metri cubi di fanghi e altri veleni tra la strada che percorre l’area industriale di Portovesme e il mare, a poche centinaia di metri dai centri abitati di Portoscuso a nord e Paringianu a sud.
La rimozione dei sigilli riguarda l’area “C” del bacino, in quanto costruita con criteri tali da non mettere a repentaglio l’ambiente circostante. Insomma, il vascone “C” è ritenuito impermeabile e non soggetto a fenomeni di percolamento. Diverso, invece, il discorso per le aree “A” e “B”, bacini drenanti realizzati senza l’impermeabilizzazione di fondi e pareti e pertanto ritenuti ancora fonte di inquinamento.
L’inchiesta della procura cagliaritana prende le mosse nel marzo del 2009, in seguito alla rottura di una condotta che trasporta l’acqua di falda proveniente dalla Sala Pompe della vicina centrale Enel e da altri punti dell’agglomerato industriale fino allo stabilimento dell’Eurallumina. E da qui al bacino dei fanghi rossi, dopo essere stata impiegata nel ciclo di lavorazione dell’alluminio. Nell’acqua riversatasi sulla strada che attraversa il polo industriale di Portovesme, i carabinieri del Nucleo operativo ecologico avevano rilevato all’indomani dell’incidente la presenza di metalli pesanti, fluoruri, boro, manganese e arsenico oltre i limiti previsti dalla legge.
Nel settembre dello stesso anno il pm Marco Cocco prefigura le ipotesi di reato di disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti pericolosi, inizialmente a carico di ignoti poi con l’iscrizione nel registro degli indagati di Candeloro.
A distanza di oltre 5 anni giunge la chiusura delle indagini, con il rinvio a giudizio dei due dirigenti Euralluminia e il dissequestro del solo bacino “C”, ma resta da chiarire l’esatta origine dei metalli pesanti rinvenuti in falda, che presentano caratteristiche non riconducibili esclusivamente ai fanghi rossi.
Da Angelo Cremone, l’ex consigliere comunale di Portoscuso, oggi animatore dell’associazione ambientalista “Sardegna Pulita” un appello alla magistratura perché non si accumulino ulteriori ritardi: “Più passa il tempo, più si allarga l’inquinamento verso le falde e verso il mare. Occorre fare in fretta anche perché a Portoscuso e dintorni si registra un preoccupante aumento delle patologie neoplastiche”.
Piero Loi