Che Portovesme sia un inferno di veleni è un fatto acquisito. Non era invece scontato che l’inquinamento della falda che corre sotto il Bacino dei fanghi rossi di proprietà dell’Eurallumina potesse peggiorare. Anche perché gli stabilimenti della Rusal sono fermi ormai dal 2009. E nel frattempo quell’immensa discarica a cielo aperto è stata oggetto di alcuni interventi di messa in sicurezza da parte del comune di Portoscuso. Che la situazione stia precipitando mese dopo mese lo stabilisce la perizia depositata lo scorso marzo dal professore del Politecnico di Torino Mario Manassero, consulente del pm Marco Cocco nel processo per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti a carico dei dirigenti dell’Eurallumina Vincenzo Rosino e Nicola Candeloro che si aprirà il 3 maggio. Quello stesso giorno, sotto il palazzo di Giustizia, un sit-in conferenza stampa delle parti civili.
Le analisi di Manassero mostrano che inquinanti estremamente pericolosi come il cromo VI, l’arsenico e il mercurio fanno registrare livelli record nell’acqua di falda, superiori anche del 900% rispetto alle soglie di concentrazione prescritte dalla legge. Pertanto, le acque che sarebbero dovute essere meno inquinate – per effetto del trattamento cui vengono sottoposte – presentano le stesse concentrazioni di inquinanti di quelle non ‘depurate’. Il professor Manassero non lo scrive esplicitamente, ma – stando alle analisi – gli interventi di messa in sicurezza non hanno avuto nessun effetto sulla falda.
Ecco i dati: nei campioni d’acqua prelevati nei pozzi di osservazione (i cosiddetti piezometri) a settembre 2015, il cancerogeno cromo VI supera di oltre il doppio i limiti-soglia nell’area compresa tra il bacino dei fanghi rossi e il mare. Mentre tra aprile e maggio dello stesso anno il cromo era presente in quantità inferiori ai limiti. Non va meglio per i fluoruri, che a settembre raggiungono picchi superiori di otto volte il limite. Esattamente come il terribile arsenico, che ha fatto registrare superamenti in sei punti diversi e su tre delle cinque aree monitorate (tutte a ridosso del bacino). Vale lo stesso per il mercurio, in aumento da maggio a settembre 2015, quando ha fatto registrare picchi di 9 volte il limite. Eccessi, infine, anche per ferro, cadmio e alluminio. Fatta 100 la quantità di inquinante per litro d’acqua tollerata dalla legge, pressoché tutti gli inquinanti fanno dunque registrare superamenti che vanno dal 100% al 1000% e oltre: si tratta di dati che la dicono lunga su quanto in là si sia andati a Portovesme.
Il discorso non cambia se si sposta la lente sull’acqua proveniente dai pozzi di emungimento collegati al sistema di trattamento (vale a dire acque non ancora sottoposte a depurazione). Da un confronto qualitativo tra i risultati delle analisi di queste acque con quelle prelevate dai piezometri “emerge che tutti gli analiti a cui sono associabili superamenti delle soglie di concentrazione per le acque sotterranee nel monitoraggio ambientale sono stati riscontrati in concentrazioni superiori alle stesse soglia anche nei campioni d’acqua prelevata dal sistema di emungimento”, si legge nella perizia. In pratica, l’acqua di falda non ancora trattata presenta gli stessi tassi d’inquinamento di quella trattata. Vale a dire che gli interventi di messa in sicurezza non hanno sortito gli effetti sperati.
La perizia depositata lo scorso marzo non si ferma alle analisi dell’acqua di falda. Sotto la lente del perito finiscono anche i campioni di fango provenienti dal bacino, che evidenziano superamenti per i fluoruri, l’alluminio, l’arsenico, il nichel, il rame, il selenio e gli idrocarburi. Nei fanghi, invece, non trovano riscontri i superamenti per cromo VI, cadmio, cromo totale, ferro, manganese, mercurio, piombo e boro evidenziati dalle analisi sull’acqua di falda.
Al contario di idrocarburi e metalli pesanti, nei fanghi non è stata ricercata la presenza di radionuclidi. È la direttiva Euratom del 2013 ad equiparare gli scarti della bauxite (i cosiddetti fanghi rossi) a rifiuti Tenorm, vale a dire radioattivi.
Piero Loi
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