Duecento migranti bloccano Pirri: “Vogliamo libertà”

Si sono radunati intorno alle 10 davanti all’Hotel Santa Maria a Pirri, municipalità di Cagliari, dove alloggiano da lunedì, per chiedere di poter lasciare la città e proseguire il loro viaggio. Qualcuno vorrebbe andare in Francia, altri in Germania, Inghilterra, verso i paesi del Nord: tutto ma non qui, su un’isola, dove non hanno prospettive di lavoro e non c’è una comunità pronta ad accoglierli.

Questa mattina duecento africani, per la maggior parte eritrei ma anche somali, hanno manifestato in via Santa Maria Chiara davanti all’albergo, l’ex Motel Agip, che temporaneamente e in via straordinaria è diventato la loro casa. Hanno paura che sarà la loro casa per troppo tempo ancora, in attesa che si sbrighino le pratiche dei documenti, mentre la loro destinazione è altrove.

“Sei una giornalista?” chiede in inglese uno di loro. “Siamo qui per dire che non vogliamo stare in Italia. Abbiamo affrontato un viaggio lungo: abbiamo passato il deserto, poi raggiunto la Libia e da qui attraversato il Mediterraneo in barca. Un viaggio che per molti è durato parecchi mesi, per altri anche un anno e mezzo. Alcuni di noi in Libia sono stati picchiati e tenuti prigionieri. Siamo stanchi, vogliamo raggiungere le nostre famiglie e i nostri amici in Francia, Germania, in altri paesi. Ma non vogliamo stare qui e soprattutto non vogliamo che ci prendano le impronte digitali. Vogliamo essere liberi di muoverci”.

Sono quasi tutti giovanissimi, tra i venti e i trenta; con loro ci sono molte ragazze, tante mamme con bambini. Alcuni di loro stringono orsacchiotti e coniglietti in pelouche, regalo di qualche cittadino generoso: nei giorni scorsi in questa zona si è riversata la solidarietà di tanti cagliaritani che hanno portato loro vestiti, accessori, giocattoli.

Una parte della città che ha mostrato buon cuore aprendo gli armadi e portando in dono quanto poteva essere utile per queste persone sbarcate senza nulla, vestite con abiti troppo leggeri, in alcuni casi senza scarpe. Un buon cuore che invece non hanno mostrato questa mattina tanti, troppi passanti, insieme ad alcuni commercianti di via Santa Maria Chiara: “Tornatevene a casa” dicevano alcuni ai manifestanti. “Sono in hotel, cosa vogliono ancora? Ci sono tanti sardi senza casa, a loro non pensiamo?”, chiede la titolare di un bar pasticceria molto noto nella zona, nel frattempo si fa il segno della croce. “Hanno vitto, alloggio e anche uno stipendio, e i nostri disoccupati?” così il titolare di un autolavaggio. Una ragazza molto giovane riprende il corteo con il telefonino: “Li abbiamo voluti portare qui? Ecco il risultato”. Un signore di mezza età sente tutte queste voci e poi ci dice: “Ha visto quanta gente cattiva abbiamo intorno? Non capiscono che in questa situazione potevano esserci anche loro. Ho tre figli che vivono e lavorano fuori, nessuno ha mai detto loro di tornarsene a casa per non rubare il lavoro ad altri. Fa tanta tristezza l’ignoranza”.

La manifestazione è proseguita senza incidenti particolari, tranne quando il gruppo intorno alle 12 ha rotto il cordone di polizia e invaso una corsia per marciare in strada. Dopo aver cercato invano di trattenere i manifestanti le forze dell’ordine hanno lasciato che percorressero via Santa Maria Chiara bloccando così il traffico per quasi un’ora in mezzo alle macchine che venivano deviate. Arrivati alla fine della strada sono tornati indietro verso l’hotel.

Qui hanno fatto di nuovo sosta mostrando cartelli di cartone con scritto “We need help” e “We need freedom”, alcuni di loro hanno poi dialogato, ancora una volta, con i rappresentanti dell’ufficio Immigrazione della Questura di Cagliari e con i mediatori culturali delle associazioni Esoa e Corno d’Africa.

“Dovete solo avere pazienza, stiamo cercando di aiutarvi – hanno detto dalla Questura. Possiamo fare in modo che raggiungiate i paesi dove siete diretti, ma dovete fidarvi di noi e mantenere la calma”. È stato spiegato loro che se hanno familiari all’estero potranno chiedere di raggiungerli subito tramite la procedura di ‘relocation’, oppure che in uno, due mesi al massimo potranno avere riconosciuto qui lo status di rifugiato politico. A fine mattina tra i migranti è tornata la calma. Ora valuteranno se accedere alla ‘relocation’ o se restare qui e avviare le pratiche per la richiesta di asilo politico.

Francesca Mulas

GUARDA LA PHOTOGALLERY DI ROBERTO PILI

LA FOTO. Il piccolo africano e i suoi pelouche

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