“A 19 anni mi sono trovato in ospedale senza sapere come c’ero arrivato. Quella notte i miei genitori hanno realizzato che non passavo le serate a casa di amici ma in discoteca imbottito di droghe. Da allora non ho più preso nulla, sono stato fortunato perché poteva andare molto peggio”. Chi parla è un giovane sardo di 30 anni che tra i 15 e i 19 ha sperimentato tutte o quasi le sostanze stupefacenti: marijuana, hashish, cocaina, popper, ecstasy, acidi.
Ci racconta di una grande discoteca in provincia di Cagliari che parecchi anni fa ospitava feste con migliaia di persone. “Avevo 15 anni e ci andavo con amici più grandi perché non avevo la patente; lì ho iniziato a provare il popper (farmaco usato in passato come anti-anginoso, si assume per inalazione ed è un vasodilatatore, ndr) e le altre droghe, tutti quelli del mio gruppo lo facevano. In poco tempo è diventata un’abitudine, più che per la musica, ci andavo per sballarmi. Esageravo, dopo mi servivano almeno quattro giorni per riprendermi, ci sono stati dei brutti momenti con vuoti di memoria: un tunnel in cui mi sono infilato senza troppe preoccupazioni da cui non sapevo come uscire”.
Marco (il nome è di fantasia) con le sostanze stupefacenti ha smesso. Per convincerlo è servita una corsa in ambulanza e il ricovero in ospedale dopo l’ennesima notte di sballo. “Non ricordo nulla di quella notte, so solo che mentre gli amici mi riportavano a casa mi sono sentito male. E mi sono svegliato in un letto d’ospedale davanti a mio padre. Mi è bastato un suo sguardo: i genitori in certe situazioni non hanno bisogno di spiegazioni, e a me in quel momento non servivano rimproveri o divieti. Ho realizzato allora che era il momento di smettere”.
Marco racconta che in quegli anni, quando ancora era minorenne, frequentava ambienti dove prendere pastiglie e altre droghe, dalle più banali alle più pesanti, era la normalità. “Anche se ero un ragazzino ero perfettamente consapevole di quello che stavo facendo e dei rischi che correvo. In discoteca conoscevo tutti i pusher, c’era quello che vendeva la cocaina, quello che aveva le pastiglie, quello degli acidi. In quegli anni trovare droga era più facile di adesso e c’erano meno controlli. Se sapevo che era sbagliato? Certo, però lo facevano tutti, potevo farlo anche io. Il classico errore da ragazzini, ragionare con la testa del gruppo. Non è colpa di nessuno, è sempre successo e le conseguenze non possono essere controllate, se non entro certi limiti”.
Sulla chiusura del Cocoricò disposta dal questore di Rimini e sulla stretta attorno alle discoteche come luoghi di pericolo per i giovanissimi non ha dubbi: “È sbagliato puntare il dito contro i locali: certe cose ci sono sempre state, non si possono cambiare chiudendo una discoteca o accendendo telecamere ovunque. In Italia si fanno grossi polveroni attorno a un episodio, per quanto grave sia domani si parlerà di qualcos’altro e ci dimenticheremo del ragazzo morto per una pastiglia. Non è con la chiusura del Cocoricò che si risolve il problema a Rimini e nella Riviera e chi si drogava prima andrà a drogarsi da un’altra parte. Stesso discorso per le droghe leggere: se non consenti alle persone di fumare legalmente lo faranno illegalmente, e del resto non siamo circondati da sostanze pericolose consentite dalla legge? Alcol, tabacco, ansiolitici e psicofarmaci sono forse meno dannosi della marijuana?”.
Ripensando al passato, Marco è sicuro che non cambierebbe la sua adolescenza: “Non ho rimpianti e tornando indietro rifarei tutto: credo di essere quello che sono grazie alle esperienze che ho vissuto, belle o brutte che siano. Soprattutto nella adolescenza arriva un punto in cui stai percorrendo una strada e tutti – genitori, famiglia, amici, fidanzata – ti possono dire che è la strada sbagliata e che andrai a sbattere contro un muro, ma finché contro quel muro non ci sbatti da solo non lo capirai. Allora, due sono le strade: o scegli di prendere un’altra via o continuare. Io ho imparato dai miei errori e ho scelto di cambiare strada”.
Francesca Mulas