La lezione di “Giochi di guerra” per “depistare” le crisi d’ansia

Sono una ragazza di 24 anni e da un anno a questa parte ogni emozione forte che provo mi porta ad avere crisi d’ansia: dall’appuntamento con un’amica all’andare a un colloquio di lavoro. L’anno scorso per un periodo di 4/5 mesi non riuscivo neanche a uscire di casa, poi l’ho superata. Ieri avevo un colloquio di lavoro a 50 km da casa mia e appena imboccata l’autostrada ho avuto forti palpitazioni, nausee fortissime che stavano portandomi a rigettare mentre guidavo, mi mancava l’aria, tremavo e sudavo; e succede ogni volta. L’unica cosa che mi ha calmata è stato sapere che ogni tot km c’era un autogrill o ogni tanto un’area di sosta. Invece il momento del colloquio e il viaggio del ritorno è stato tutto tranquillo. Quando questo mi accade non riesco neanche a parlare con altra gente per distrarmi perché appena ci provo iniziano i conati e la mia mente non riesce a pensare ad altro. Non posso continuare così, ripeto, anche un appuntamento con un’amica mi provoca tutto ciò per non parlare di quando devo affrontare un viaggio per andare in vacanza (in macchina, treno, aereo è indifferente). Voglio capire come superarlo perché oggi ho paura per come reagirò domani quando dovrò andare a fare un altro colloquio.

Erika (Varese)

Cara Erika, da ciò che racconti sembrerebbe che la tua sofferenza rientri nella categoria degli attacchi di panico, argomento che ho già trattato in questa rubrica. Nel tuo caso però mi pare che l’intensità e la durata dei momenti di sofferenza rientrino in una condizione più comune e meno grave, ovvero quella delle crisi d’ansia, i cui sintomi, sia di tipo somatico (corporeo) che di tipo cognitivo (mentale), sono simili a quelli dell’attacco di panico, ma più lievi.

Come racconti, a livello fisico hai provato tachicardia, sudorazione, tremore, vertigini, asfissia, dolori al petto, nausea o brividi, ma non hai mai perso il contatto con la realtà né hai sentito un senso di spersonalizzazione, effetti tipici dell’attacco di panico.

Nonostante il diverso grado di intensità, entrambi i problemi presentano la caratteristica della perduranza e della difficoltà ad essere superati. Sia in un caso che nell’altro stiamo comunque parlando di emozioni molto complesse, nel senso che sono innescate da un senso generale di paura che attiva il nostro sistema automatico di protezione.

Mi spiego: che ci piaccia o meno le emozioni nascono in primo luogo come risposta a un cambiamento interno (modo di interpretare la realtà) o esterno (modificazione dell’ambiente a cui ci rapportiamo) che richiedono comunque un adattamento a nostra salvaguardia. Se per un attimo andiamo a vedere come funziona il percorso delle informazioni che passano attraverso i nostri sensi e arrivano al cervello, capiamo che gli stimoli che raccogliamo dall’esterno arrivano direttamente al talamo sensoriale e da qui smistati a un raggruppamento di centri nervosi detti amigdala posti nella profondità del cervello.

In tempi rapidissimi, in collaborazione con l’ippocampo e altri circuiti complessi, il nostro cervello decide se lo stimolo raccolto vada classificato come spiacevole, piacevole o allarmante e subito manda il comando al nostro sistema nervoso vegetativo, alle ghiandole endocrine e ai muscoli che preparano il corpo ad una risposta.

Questo velocissimo processo è frutto di migliaia di anni d’evoluzione perché il primo imperativo che il nostro sistema nervoso conosce è “restare vivi”, proteggerci nell’immediato da pericoli pur non razionalmente identificati. Questo rapidissimo processo non passa per la corteccia cerebrale dove , fra l’altro, vengono prese le decisioni volontarie e dove si può, tra le altre cose, scegliere e programmare il proprio benessere . E’, infatti, dalla corteccia che normalmente parte un segnale di ritorno all’ amigdala con cui si può modulare, interpretare e ristrutturare il segnale di pericolo: confronta e soppesa gli stimoli, li paragona con ciò che l’esperienza ci ha fatto imparare e poi decide che risposta dare. Per fare questo, come è evidente, impiega un po’ di tempo.

Di fatto è come se una parte di noi gridasse “allarme!” mentre un’altra dicesse “calma, non è come sembra …” ma spesso i sistemi d’allarme collaudati da migliaia di anni hanno la prevalenza su quelli della coscienza ed ecco perché capita di dire “è più forte di me …” e compiamo atti che, guardati a distanza, ci paiono irragionevoli: lo sono! Cara Katia tutto ciò per dire che la tua sofferenza è comune a tutti gli esseri umani solo che tu lasci che la risposta immediata sia sempre vincente su quella soppesata.

Certo, dirai tu, ma fra il dire e il fare … infatti non è semplice. Non so se tu abbia mai visto il film “War Games”: è la storia di un ragazzino che riesce a inserirsi dentro la memoria del calcolatore del Ministero della difesa americana e a simulare con il suo computer una guerra nucleare totale con l’allora Urss … il film è avvincente e proprio quando il computer sta per dare il comando (reale, non immaginario) di partenza dei missili intercontinentali che avrebbero distrutto tutto il pianeta e avrebbe scatenato la risposta dell’allora blocco sovietico uguale e contraria, al ragazzo viene in mente di far giocare il computer a un gioco senza soluzione come” tris”, sai quello in cui in uno schema di nove quadrati si alternano la x o lo 0 e vince chi fa tris … due buoni giocatori sanno che, volendo, nessuno mai riesce a vincere. Con tale gioco il mega computer della Nasa comincia un gioco infinito e magicamente depotenzia l’altro, fino a bloccarne il lancio dei missili.

Ti racconto questa breve storia perché così come con il computer della Nasa anche con l’ansia è necessario trovare qualcosa che depotenzi l’attenzione sul problema, e lo faccia sfruttando i “circuiti” della corteccia cerebrale e non quelli dell’amigdala. Quando ci si accorge che si avvicina uno stato d’ansia (e so bene che questi avvertimenti arrivano da prima soffusi poi chiari e distinti e che si concretizzano spesso con risposte fisiche come dolori addominali, tachicardia etc.) è necessario operare uno spostamento del focus dell’attenzione a qualcosa che “impegni” la corteccia cerebrale. Nel nostro corpo le mani, le labbra e i piedi sono gli organi che immediatamente riescono a fare questo e, come il ragazzino con il gioco del tris, a depotenziare l’ansia.

Questo, naturalmente, non risolve il tuo problema che molto probabilmente va affrontato con una terapia cognitivo – comportamentale, ma ti aiuta a depotenziare l’ansia e semmai a farla diventare in un certo qual modo “comprensibile”. Prova a farlo anche come semplice esperimento, quando senti che arriva l’ansia concentra la tua attenzione sulle mani , sui piedi o sulle labbra e “ragionaci sopra” … naturalmente poi devi cercare un buon terapeuta che ti aiuti ad affrontare questo problema su un piano più profondo.

Antonello Soriga

 

Chi ha un caso da segnalare o un parere da chiedere scriva a psychiatrichelp@sardiniapost.it. Saranno ovviamente garantiti totale riservatezza e anonimato.

(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).

 

Non le chiedo necessariamente un consiglio su cosa fare ma spero vivamente che una sua autorevole interpretazione da esterno della mia situazione possa farmi capire cose utili a ritrovare la serenità.

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