VERSO LE REGIONALI. Fulvio Dettori, i dubbi di un uomo di sinistra sardo

Da Fulvio Dettoridocente universitario, direttore generale della presidenza della Regione dal 2005 al 2009, riceviamo e pubblichiamo.

Oltre a quelle indicate da Luciano Marrocu, c’è un’altra ragione, forse ancora più profonda, per chiedersi se valga la pena di votare per Francesca Barracciu, seppure consapevoli che le eventuali alternative riguardano candidature, sedicenti “di sinistra”, poco credibili e, per di più, maggiormente inutili e/o dannose.

La ragione è che la candidatura della Barracciu non nasce per caso o per fortuna, ma è la conseguenza, quasi inevitabile, dei comportamenti e delle scelte di un sistema di partiti, imperniato sul Pd, che, negli ultimi cinque anni, è stato incapace di esercitare un’opposizione vera nei confronti della peggior Giunta (oltreché del peggior presidente della Regione) che la Sardegna abbia mai avuto e che, oggi, quando mancano pochi mesi alle elezioni regionali, si dimostra incapace di elaborare un programma di governo credibile e convincente, fatto di proposte concrete e che tenga conto non di come si vive a “Palazzo”, ma delle drammatiche condizioni in cui si trova la Sardegna.

La guida del Partito democratico sardo è nelle mani di pochi oligarchi arroganti, attorno ai quali sono arroccati consiglieri regionali, preoccupati di difendere i propri privilegi personali e pronti a tutto pur di mantenerli, come dimostra, da ultimo, la scandalosa bocciatura della doppia preferenza di genere, sulla quale, fra l’altro, la stessa Barracciu ha preferito sorvolare. In questa logica, le tante, ma non improvvise né sorprendenti, conversioni a favore di Matteo Renzi hanno una sola ragione, uguale e contraria: da una parte, non perdere le posizioni di potere acquisite e dall’altra scalzare il gruppo dominante per sostituirlo con un altro di uguale spessore e qualità.

Sollecitato anche dalle riflessioni di Luciano Marrocu, credo valga la pena di chiedersi che peso e che responsabilità abbia avuto Renato Soru, potenzialmente il solo vero leader del Pd regionale, nelle vicende del éartito democratico sardo, di cui la fragile candidatura Barracciu è stata la conclusione, forse inevitabile. Peraltro, la gran parte delle alternative consistevano in candidature, altrettanto fragili, espressione di altri gruppi di potere, altrettanto prive di credibilità e altrettanto incapaci di suscitare un consenso popolare che andasse al di là di quello assicurato dai sempre meno numerosi militanti, sempre meno convinti e sempre più stanchi di credere in una politica fine a se stessa.

Basta riflettere sulla qualità della campagna elettorale per le primarie per rendersi conto di quanto la partecipazione sia crollata e di come questa situazione sia lontana anni luce da quella che aveva accompagnato la candidatura di Soru ed il sogno, fallito per responsabilità di tanti di noi, di cambiare davvero la Sardegna e la sua classe politica.

Personalmente resto convinto che nella politica regionale siano mancate, forse non casualmente, analisi e valutazioni sulla giunta Soru e sulle luci e le ombre (ci sono anche quelle, e sono tante) di quell’esperienza di governo (e delle politiche che l’hanno accompagnata), che si è conclusa con una sconfitta drammatica senza che nessuno abbia sentito la necessità di chiedersi pubblicamente i perché di quel risultato di cui paghiamo ancora le conseguenze.

Ancor più carente a me pare l’analisi sugli anni della presunta opposizione alla giunta Cappellacci, dove il Pd ed i partiti che lo circondano in posizione di quasi totale subordinazione, sono stati incapaci di costruire una politica fatta di proposte alternative credibili e convincenti e si sono limitati a controbattere, spesso solo per ragioni di circostanza, alle iniziative della giunta. Anche in questo caso il ruolo di Soru è stato, più in negativo che in positivo, fondamentale e determinante. Il solo vero leader del centrosinistra ha infatti rinunciato a guidare, come – a mio giudizio – sarebbe stato suo dovere fare – l’opposizione nel Consiglio regionale (dove la sua presenza è stata sporadica e, soprattutto, distratta), ma soprattutto non ha assunto la guida del partito, decidendo per tempo se riproporsi a presidente della Regione oppure se costruire pazientemente una diversa candidatura autorevole, attorno alla quale realizzare un consenso ed una condivisione dentro e fuori del Pd.

Tutto questo, purtroppo (almeno dal mio punto di vista) non si è verificato. Il Pd si è dimostrato un partito che ha avuto come principale obiettivo quello di conservare e sistemare il gruppo dirigente e questo ha portato a candidature deboli e poco credibili, espressione di gruppi di potere contrapposti ma equivalenti, preoccupati soprattutto di conquistare un consenso personale che con iniziative e promesse che, con l’avvicinarsi delle elezioni, diventano sempre più numerose e sempre meno condivisibili.
Valga per tutti l’esempio della legge sugli usi civici, con il tentativo, assai trasversale, di consentire la privatizzazione a favore di pochi “prinzipales” ben ammanigliati con la politica, di beni che da secoli appartengono alle collettività locali.

Ecco perché, oggi, non so scegliere fra “l’etica della responsabilità” o “l’etica dei principi”, anche se sono convinto che la Sardegna non sopporterebbe per altri cinque anni una giunta ed un presidente preoccupati solo di mantenere, costi quel che costi, gli impegni assunti nei confronti dei tanti sponsor non disinteressati che abbiamo imparato a conoscere nei disgraziati anni della legislatura che si sta per concludere.

Fulvio Dettori

 

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