Da Cesarina Pibiri, referente del Comitato nazionale genitori familiari disabili uditivi, riceviamo e pubblichiamo un intervento in risposta all’articolo “Discriminazioni tra disabili, una lunga storia di leggi sbagliate”.
Prima di tutto vorrei chiarire che se la sordità non viene affrontata con il percorso sanitario adeguato, cioè screening neonatale, diagnosi precoce, protesizzazione (nei casi in cui sia necessario l’impianto cocleare) e abilitazione alla parola, il bambino sordo non può acquisisce competenza linguistica e quindi, non potrà mai essere linguisticamente adeguato alla società e sarà sempre condannato all’impossibilità di esprimersi e di essere compreso, nonché confinato all’uso di metodiche speciali e forzatamente limitate per la comunicazione.
Questo è il presupposto necessario, la condicio sine qua non un bambino sordo ha la possibilità di divenire un cittadino libero e indipendente.
Questo presupposto imprescindibile è necessario per mettere in chiaro che quando si parla di problemi del bambino sordo a scuola non si può categorizzare, ma è fondamentale far riferimento alla sua SITUAZIONE LINGUISTICA oltre che, naturalmente, ALLA SUA STORIA PERSONALE.
La scuola DEVE prendere atto dei cambiamenti e dei progressi nel settore della sordità e si deve adeguare ai successi, non ai pochi insuccessi, che sono comunque fisiologici in ogni progresso.
Adeguarsi al successo significa aumentare gli standard e migliorare la scuola nel suo complesso, anche per tutti gli altri alunni.
Significa, nel caso specifico, andare oltre al pregiudizio che vede il bambino sordo come muto che si esprime con un linguaggio alternativo.
Significa, andare oltre l’etichetta fisica e valutare la competenza linguistica e quindi fornire il supporto adeguato.
Fortunatamente possiamo dire che per la sordità tutti gli sforzi congiunti hanno fatto sì che oggi il bambino sordo, adeguatamente seguito, possa essere integrato scolasticamente nell’ambito della metodologia normale ed è quindi assurdo remare indietro reclamando ancora oggi la specialistica.
Per i bambini e i ragazzi sordi non chiediamo e non vogliamo strade parallele, vogliamo integrazione che ovviamente non può essere separazione! Noi crediamo che gli insegnanti dispongono già di tutto quello di cui hanno bisogno, perché l’unica cosa di cui c’è necessità per lavorare con l’alunno sordo è la lingua.
Alla fine degli anni ’70 in Italia, proprio per evitare l’emarginazione e l’isolamento prima degli alunni e poi dei cittadini, siamo arrivati alla chiusura delle scuole speciali, dei veri e propri ghetti.
Ora stiamo silenziosamente facendo un percorso inverso.
Stiamo marciando verso una sorta di tribalismo della differenza, si vanno affermando “sedicenti comunità” che si autodeterminano sulla base di un deficit fisico e che su questa base pretendono anche un riconoscimento legislativo! A vantaggio di chi? Solo ed esclusivamente di comunità chiuse che si auto-alimentano.
Da qualche anno si sta tornando a parlare di interventi speciali e di classi con più di un alunno sordo … “perché si capiscono meglio!”
Qualcuno sostiene che i sordi sono tanti: ecco l’errore di voler categorizzare tante persone diverse in una sola etichetta. Sordi, sordastri, ipoacusici e poi, magari, senza neanche valutare quando si è presentato il problema sordità (in età pre-verbale o dopo)! Ma non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.
Attenzione, le scuole speciali sono dietro l’angolo!
Creare o continuare con forme di educazione separata, significa solo continuare a condannare le persone sorde a essere “altri”.Se adottiamo strategie speciali si possono ottenere soltanto risultati speciali che finiscono solo per stigmatizzare e differenziare l’alunno sordo.
Per raggiungere l’obiettivo della piena inclusione, della pari dignità sociale non bisogna condannare gli alunni di oggi ad avere un futuro speciale anche perché continueremo ad affrontare problemi che si autoalimenteranno in maniera esponenziale.
Cesarina Pibiri
Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi