Non è risultato vincolante, perché la legge Madia del 2016 non è stata ritenuta applicabile alla Valutazione d’impatto ambientale in corso dall’ottobre del 2015. Ma il documento in cui il Soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio Fausto Martino mette nero su bianco il parere contrario al progetto dell’Eurallumina riserva ugualmente una sorpresa non da poco. Alla base della bocciatura comunicata lo scorso 31 gennaio durante la penultima Conferenza dei servizi ci sono sì ragioni legate alla difesa dei beni paesaggistici e culturali che hanno finora resistito all’azione di un ‘ingombrante’ polo industriale. Un primo punto fermo è, dunque, subito chiaro: l’ampliamento del Bacino dei fanghi rossi e l’innalzamento dei settori A e B fino a 46 metri sul livello del mare finirebbero per alterare i beni tutelati, “danneggiandone irrimediabilmente gli scorci visuali”. L’altra questione dirimente sollevata dal Soprintendente nelle otto pagine depositate in Regione riguarda, invece, la salubrità ambientale, vale a dire l’altra faccia del paesaggio. Che a Portovesme fa rima con recupero ambientale. È, infatti, esattamente a questo ordine di problemi che il Soprintendente si riferisce nel richiamare le prescrizioni dell’articolo 42 delle Norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale (PPR), chiare nello stabilire che “non sono consentiti interventi, usi o attività che possono pregiudicare i processi di bonifica o di recupero o comunque aggravare le condizioni di degrado” in contesti– come quello di Portovesme – classificati come aree di recupero ambientale.
In altre parole, per la Soprintendenza esistono due ordini di problemi: da un lato la necessità di tutelare le coste, i beni culturali come torri e tonnare, quelli naturalistici come il Sito di interesse comunitario Punta S’Aliga e “quel quadro naturale di eccezionale bellezza” ‘disegnato’ delle Isole di Carloforte e Sant’Antioco. Dall’altra le criticità ambientali tout court legate alla presenza del polo industriale, inteso come contesto compromesso dal punto di vista ambientale. Ed entrambe le criticità sostanziano il parere negativo depositato a fine gennaio.
A dimostrazione di quanto la questione ambientale sia in questo caso determinante, la Soprintendenza cita la Scheda dell’Ambito di Paesaggio 6 del Piano Paesaggistico regionale. Si tratta di un documento allegato al PPR che ha il compito di fare la radiografia delle varie zone in cui è stata suddivisa la Regione ai tempi del Piano. “La presenza della zona industriale – recita la Scheda 6 – ha determinato spesso usi conflittuali delle risorse con la loro naturale evoluzione, attraverso interventi di bonifica idraulica, canalizzazioni, scarico di reflui, intensi emungimenti delle falde, stoccaggio e messa a dimora di scorie industriali, comportando irreversibili alterazioni geomorfologiche dei corsi d’acqua, variazioni idrodinamiche degli acquiferi fino alla compromissione dei sistemi ambientali“.
Ecco perché, sempre la Scheda d’Ambito n°6 precisa che occorre il riequilibrio progressivo del rapporto tra la presenza industriale del polo di Portovesme, l’insediamento urbano, la fruizione turistica, le attività agricole e la pesca marina e lagunare dell’Ambito, riducendo i problemi di interferenza delle attività industriali con il sistema ambientale”. E riqualificare le aree del degrado industriale, selezionando ambiti prioritari di intervento, su cui attivare un progressivo processo di disinquinamento e di rigenerazione ambientale, che necessita di un coordinamento unitario per i comuni interessati in relazione ai problemi di alto rischio ambientale, per i programmi di disinquinamento e di monitoraggio ambientale”.
Piero Loi
@piero_loi