Dopo Basilicata, Puglia, Marche e Molise, anche la Sardegna ha chiesto l’indizione di un referendum abrogativo su alcune norme di legge che regolano le trivellazioni. Ma sulla possibile estrazione di idrocarburi nel Mar di Sardegna che tanto scalpore ha suscitato nei mesi scorsi l’assemblea ha fatto il classico buco nell’acqua. Proprio così: il comma 1 dell’articolo 35 del decreto “Sviluppo” oggetto della campagna referendaria non riguarda l’attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi che la norvegese Tgs-Nopec vorrebbe effettuare al largo delle coste nord-occidentali dell’Isola. Il perché è presto detto: l’area del Mar di Sardegna perimetrata dalla Tgs – Nopec (in tutto 20.000 Kmq tra l’Isola e le Baleari) si trova a una distanza minima di 24 miglia dalle coste sarde. E ad oltre 12 miglia dall’area marina protetta del Santuario dei cetacei. Mentre il quesito referendario punta ad abrogare quella parte del decreto Sviluppo che riesuma diversi progetti di trivellazione off-shore entro le 12 miglia dalle coste italiane e da eventuali aree marine protette.
Più precisamente, il quesito referendario “punta a bloccare una cinquantina di progetti situati entro le 12 miglia dalla terraferma che coinvolgono il Mar Adriatico e lo Jonio finiti su un binario morto in seguito ai divieti imposti dall’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (all’indomani dell’incidente della piattaforma petrolifera ‘Deepwater Horizon’ nel Golfo del Messico, ndr.)”, come scrive lo stesso Coordinamento dei comitati No Triv che ha promosso il referendum. Vale a dire che si fa riferimento a precise coordinate spazio-temporali, che non sono quelle dei progetti estrattivi che interessano le coste sarde.
Stando, poi, a quanto riportato da La Nuova Sardegna in un articolo dei mesi scorsi, sull’area del Mar di Sardegna presa di mira dalla Tgsd- Nopec avrebbe ripuntato gli occhi anche la Schlumberger – Italia, riperimetrando la zona delle attività di ricerca e coltivazione in seguito alla bocciatura del novembre scorso.
In entrambi i casi, referendum o meno, la decisione sulle trivellazioni nel Mar di Sardegna è e resta saldamente nelle mani del governo: presso il Ministero dell’Ambiente è già stata attivata la procedura di valutazione d’impatto ambientale nazionale. E proprio lo scorso 10 settembre, la Tgs Nopec ha depositato le integrazioni richieste dalla Commissione tecnica di valutazione del ministero.
I quesiti referendari
Un discorso a parte meritano, invece, gli altri cinque quesiti che perlopiù puntano ad abrogare alcune norme dello Sblocca Italia. In primo luogo, si tratta infatti di esprimersi sul carattere di interesse strategico delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, definite di pubblica utilità, urgenti e indifferibili dal testo di legge. Ma è lo stesso Enzo di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo ideatore dei quesiti referendari e anima della campagna referendaria ad evidenziare che, “anche con l’abrogazione, resterebbe comunque intatta la previsione della pubblica utilità” e del conseguente esproprio. In caso di vittoria, si ricorrebbe all’esproprio solo in seguito al rilascio della concessione e dei permessi di sfruttamento.
Il secondo quesito riguarda, invece, il potere sostitutivo che lo Stato può esercitare nel caso in cui non venga raggiunta l’intesa con le regioni sul Piano per le trivellazioni sulla terraferma redatto dal ministero dello Sviluppo e del dicastero dell’Ambiente. Pertanto, si chiede la soppressione di un’altra fonte normativa che norma l’attivazione del potere sostitutivo secondo una procedura semplificata. Diventano oggetto della futura consultazione referendaria anche le norme dello Sblocca Italia che stabiliscono la durata di trent’anni dei titoli concessori rilasciati alle società petrolifere.
Analoghi gli ultimi due quesiti, che puntano a rafforzare l’istituto dell’intesa Stato – regioni sulle autorizzazioni relative alle infrastrutture ausiliarie per lo sfruttamento degli idrocarburi (opere necessarie al trasporto o allo stoccaggio) e sul rilascio dei titoli minerari. Rispetto a quest’ultimo punto, è lo stesso Di Salvatore a precisare che l’istituto dell’intesa rimarrà in ogni caso superabile dello Stato, che potrà dunque continuare ad agire d’imperio. Nonostante il referendum.
Statuto speciale e norme attuative
Come sempre accade in caso di referendum, i tecnicismi abbondano. E da una prospettiva sarda occorre sempre valutare se e in che misura i quesiti referendari abbiano effetto sui progetti che riguardano l’Isola, che rimane pur sempre una regione a Statuto speciale. Sebbene in una fase politica tutta all’insegna del centralismo statale.
Per Vincenzo Migaleddu, presidente Isde – Medici per l’ambiente Sardegna,”l’iniziativa referendaria è debole, perché non mira ad abrogare le norme contenute nel decreto Destinazione Italia che trasferiscono in capo allo Stato le competenze sulle trivellazioni a terra relative allo sfruttamento delle risorse geotermiche. Inoltre, non si contestano le norme sulle trivellazioni contenute nell’ultima Finanziaria. Più in generale, la Sardegna dovrebbe far valere le prerogative statutarie che attribuiscono alla regione potestà legislativa e concorrente su cave e miniere, tutelandole in sede di Commissione paritetica per la stesura delle nuove norme attuative dello Statuto. Sempre in questa sede, la regione farebbe bene a cercare nuove forme di tutela per i suoi mari”.
“Nel complesso, il pronunciamento sui referendum ha l’aria di essere un’azione fuori fuoco, quando non un’operazione di green washing, al limite del marketing politico tinto di verde”.
Critiche dal mondo dei comitati
L’iniziativa del Consiglio suscita qualche critica anche nel mondo dei comitati impegnati in Sardegna contro trivellazioni off e on-shore e diversi altri progetti di megacentrali. Per Paolo Piras, coordinatore del comitato No Eleonora che ad Arborea si batte contro la Saras, “l’iniziativa del consiglio ha sì il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica temi certo importanti, ma non sposta una virgola rispetto ai tanti progetti che riguardano da vicino la Sardegna. Ora la regione dica cosa pensa delle richieste di sfruttamento di idrocarburi e risorse geotermiche che interessano da vicino i nostri territori”. Dello stesso avviso Laura Cadeddu del comitato No megacentrale: “Le esplorazioni in terraferma sono minimamente contemplate dal referendum su cui si è pronunciato il consiglio regionale. Si può anche plaudire all’iniziativa dell’assemblea, ma si tratta di un azione che non porta possibili soluzioni rispetto ai permessi di ricerca e sfruttamento di idrocarburi e risorse geotermiche che coinvolgono l’isola”.
Piras del comitato No Eleonora pone poi un’altra questione: “Come mai in questi giorni è stata aperta una corsia preferenziale per questi referendum, mentre chi in questi anni è stato in prima linea contro le trivellazioni in Sardegna non è mai stato ascoltato?”.
Piero Loi
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