La contesa che oppone Regione e Soprintendenza ai Beni paesaggistici sull’ampliamento del Bacino dei fanghi rossi e la realizzazione di una nuova centrale a carbone voluti dall’Eurallumina è una vera e propria partita a scacchi giocata sul filo del diritto amministrativo. Da un lato un ente, come la Soprintendenza, che ha un compito istituzionale chiaro e dal quale non può (e non deve) discostarsi: la difesa del paesaggio, prima di tutto. “E – aggiunge il Soprintendente Fausto Martino – il risanamento ambientale”. Dall’altro la Regione – il cui compito, istituzionale e politico, è di gran lunga meno specifico rispetto a quello della Soprintendenza – che appoggia il progetto della società e le istanze delle tute verdi. Con ogni probabilità, la diversità di vedute tra i due contendenti non verrà ricomposta prima del confronto che precederà il rilascio o il diniego dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ufficio del Ministero dei Beni Culturali. In ogni caso, “sarà quella una fase successiva a quella della valutazione d’impatto ambientale attualmente in corso”, spiega ancora Martino, a cui Sardiniapost ha chiesto di illustrare la posizione contraria all’intervento espressa dalla Soprintendenza. E di fare il (proprio) punto sulla confusa situazione che è venuta a crearsi dopo l’ultima Conferenza dei Servizi sul progetto dell’Eurallumina.
“Eurallumina verso il riavvio”: è il titolo più battuto dai giornali nelle ore successive alla Conferenza dei servizi dell’otto febbraio. Assessori e consiglieri regionali hanno poi fatto capire – neanche tanto velatamente – che ormai il via libera definitivo è solo una formalità, perché la procedura di valutazione può dirsi conclusa. Ma è davvero così?
La Conferenza dei servizi non può dirsi conclusa. Infatti, il procedimento si chiude solo quando vengono portate a compimento le attività istruttorie relative alla formazione dei vari pareri. Mancano ancora all’appello le Valutazioni d’incidenza delle zone paesaggistiche protette situate a ridosso del Bacino dei fanghi rossi. Ragion per cui occorre capire se la ripresa delle attività dell’Eurallumina, vincolata all’ampliamento del Bacino dei fanghi rossi e alla nuova centrale a carbone, è compatibile con la preservazione di queste aree. Ma c’è dell’altro: nel corso dell’ultima riunione, il direttore del Servizio Valutazioni Ambientali (SVA) Giuseppe Biggio ha reiterato la richiesta di atti integrativi alla società già formulata nel febbraio del 2016. Insomma, Eurallumina deve ancora versare questi documenti. Che non sono certo delle semplici marche da bollo da apporre su documenti già approvati. La Conferenza non può ritenersi conclusa anche per un altro motivo: un’ampia area del Bacino dei fanghi rossi è infatti gravata da usi civici. E fino a quando l’operazione di sclassificazione degli usi civici non verrà completata, di concerto con il Ministero dei Beni Culturali, la partita non può essere definita chiusa. Possiamo anche ragionevolmente immaginare che quegli usi possano essere sclassificati, ma gli atti formali non ci sono. Una serena valutazione dell’iter avrebbe portato a non definire concluso il ciclo di conferenze dei servizi. E a non vendere la pelle dell’orso prima di averla nel sacco.
La Soprintendenza ha espresso un parere contrario, come noto. La Regione sostiene, però, che non sia vincolante. È così?
È necessario fare chiarezza su questo punto. A chi mi accusa di aver cambiato opinione (è la Rsu dell’Eurallumina, ndr), sostenendo che nell’incontro del 7 febbraio con gli operai avrei detto che il parere era vincolante, salvo contraddirmi in seguito, dico che non ho affatto mutato idea. Il parere non è vincolante: la Regione può superarlo, ha le competenze amministrative e istituzionali per farlo. Deve, però, entrare nel merito delle ragioni che hanno portato la Soprintendenza a dire no al progetto. Il punto, piuttosto, è un altro: nessuno finora ha assunto atti formali in tal senso. Ecco perché, al termine di una Conferenza dei servizi che non si è conclusa, non è possibile dichiarare che la pratica è chiusa e si va avanti.
Ritornando alle integrazioni che la società deve produrre: si tratta di piccolezze o lo SVA solleva questioni sostanziali, vale a dire evidenzia dei veri e propri problemi di natura progettuale?
Il ciclo di vita della discarica dovrebbe esaurirsi nel 2048 (ciclo di vita). Ma da un punto di vista paesaggistico il 2048 è l’eternità, pertanto ho bisogno di capire quali siano le fasi di accrescimento di questa montagna di fanghi rossi. La ragione è molto semplice: sulla base delle previsioni di accrescimento e di eventuali interventi di mitigazione fatta per fasi successive si capirà qual è l’impatto sul paesaggio di questa operazione. Quest’integrazione, se vogliamo una delle più importanti, non è stata ancora fornita.
Dopo la chiusura della Conferenza dei servizi, e il parere negativo rilasciato durante questo ciclo di riunioni, sarà il momento dell’autorizzazione paesaggistica.
Il parere già reso non esaurisce le competenze della Soprintendenza, che, in caso di esito favorevole alla società, dovrà nuovamente esprimersi rispetto all’autorizzazione paesaggistica. In questo caso, differita su richiesta della Regione: un po’ perché è stata invocata una legge in base alla quale i procedimenti attivati prima della riforma Madia sulla pubblica amministrazione possono seguire la precedente normativa, un po’ perché l’autorizzazione paesaggistica in sede di conferenza non è obbligatoria. In questo caso, non ci siamo opposti, anche perché esistono divergenze interpretative sui vincoli e sulla portata del PPR che riteniamo di dover valutare in contraddittorio con la Regione. Senza voler preannunciare come ci esprimeremo nell’ambito dell’Autorizzazione paesaggistica, che naturalmente non è ancora stata scritta, è chiaro che questo ufficio parte da una parere contrario all’intervento. D’altra parte, se noi motivassimo un parere favorevole adducendo ragioni occupazionali, commetteremo un atto illegittimo.
E allora cosa potrebbe accadere?
Laddove amministrazioni diverse non si accordano è la Presidenza del Consiglio dei ministri a dirimere la controversia.
Nel parere contrario depositato in Conferenza dei Servizi, lei fa esplicito riferimento al PPR, sostenendo per Portovesme e dintorni l’obiettivo fissato dal Piano paesaggistico regionale è il risanamento ambientale. Ma allora siamo di fronte alla situazione per cui la Regione va in deroga alle sue leggi?
All’interno del PPR ci sono delle norme specifiche sul risanamento ambientale dei siti industriali. Quanto il PPR sia cogente e quanto debba essere valutato come impeditivo per il progetto dell’Eurallumina lo si stabilirà in una di quelle discussioni che dovranno precedere l’autorizzazione paesaggistica. C’è, poi, un’altra valutazione, che riguarda l’eventuale inclusione del sito dell’Eurallumina nella fascia costiera. Anche in questo caso non mancano i problemi amministrativi: il vincolo della fascia costiera vanno ben oltre i 300 metri. E in quell’area di salvaguardia non si potrebbe fare alcunché che non sia la bonifica. Ma, nella formulazione di questo vincolo, il PPR stabilisce che sono escluse le aree disciplinate da piano attuativo. Nel caso dell’area industriale di Portovesme esiste il Piano consortile del 1967, accostabile a un piano di area vasta sovraordinato. Per la Regione si tratta di un piano attuativo, perché ha un livello di dettaglio che ricorda questo tipo di strumento urbanistico. Pertanto la Regione vede gli estremi per escludere l’area dal vincolo. Ma per la Soprintendenza è il Comune l’unico ente preposto alla redazione del piano attuativo. In breve, il comune dovrebbe adeguare il proprio strumento urbanistico al piano consortile. Pertanto, dal punto di vista di questo Ufficio c’è solo il piano consortile ma non quello attuativo. Quindi, sebbene fondata in punto di contenuti, la trovo problematica sul piano amministrativo. Le faccio un esempio: la Regione o la Provincia potrebbero mai approvare una nuova lottizzazione?
Piero Loi
Twitter @piero_loi
Foto Giampaolo Cirronis